Capitolo 14
Trascorsa l’intera giornata con le Domatrici, il Bottegaio stava uscendo dalla tenda piacevolmente rilassato. Dopo lo scherzo della tigre erano diventate amabili. Gli avevano offerto dell’ottimo tè, raccontato di molti degli innumerevoli viaggi che le avevano condotte nuovamente in quel luogo, spettegolato sulla vita di vari abitanti del villaggio e membri del circo. Sembravano possedere una conoscenza profonda di quel villaggio ed un altrettanto profondo affetto sia per esso che per il tendone sopra le loro teste.
Il sole era ormai tramontato e una brezza leggera faceva danzare il tendone mentre le corde che lo reggevano protestavano per lo sforzo. Il Bottegaio si rassegnò facilmente all’idea di non partire quel giorno. La sua curiosità lo aveva spinto a restare così a lungo per sapere di più sul villaggio. Facile immaginare la sua ansia di indagare su quel circo errante pieno di misteri. Spalancò alte le braccia, stiracchiandosi nell’accompagnare un lungo sbadiglio.
Un leggero frusciare di foglie attirò la sua attenzione. Si volto verso quel suono e vide una figura alta e scura inoltrarsi nel bosco. Come un cane da tartufo in cerca di un odore, il Bottegaio perlustrò la sua memoria in cerca di un precedente sfocato.
"Ma certo!" ricordò. Aveva già notato quella figura scura insinuarsi furtiva fra quegli alberi fitti; Mentre affilava le lame delle sue fedeli pialle, seduto sulla pietra, giorni addietro.
La curiosità emerse puntuale. Violenta ed affamata.
“Prima o poi questa cosa mi farà ammazzare” Si disse
“forse… ma fin ora ha portato solo del gran bene…” si rispose.
Senza nemmeno rendersene conto, si stava già avvicinando al punto dove la figura scura era penetrata fra le piante. La notava appena, in lontananza, mentre si faceva strada fra i rovi cercando di restare in equilibrio sui rami secchi coperti di fogliame umido. L’odore di funghi, misto a rugiada, foglie marce e cespugli in fiore inebriava il Bottegaio che in quel luogo così pieno di natura si sentiva a casa. Cercò di seguire la figura senza farsi notare, tenendosi a debita distanza, ma ben presto non fu più necessario. Il Bottegaio ebbe una sensazione di déjà vu. Stava nuovamente seguendo una figura, apparentemente femminile, nel bosco. Anche la destinazione era palesemente la medesima: La Cascata Calda.
Per evitare di essere scoperto, il Bottegaio decise di fermarsi e dare tempo alla figura di procedere. Si distrasse qualche minuto giocando con la corteccia di un enorme acero, prima di proseguire. Mano a mano che camminava, l’odore di zolfo era più denso nell’aria e il rumore di acqua che cade sull’acqua più forte. Quando c’erano ormai solo pochi cespugli a separarlo dal lago, il Bottegaio vide la figura ferma, in piedi, sulla riva.
La luna, che ormai splendeva piena, posava argento ovunque, rischiando di tradire il grosso uomo che rimase nascosto dov’era. La figura scura si mosse, portò le mani alla testa e abbassò il cappuccio. Non fosse stato per il passaggio dalla ruvidità del tessuto, al liscio lucente dei capelli della donna, non si sarebbe notata differenza. Entrambi erano di un nero più scuro del nero. Continuando con un unico movimento fluente, la donna si scoprì le spalle e lasciò cadere la tunica lungo i fianchi, rivelando il corpo nudo e scuro che nascondeva. La poca luce le si rifletteva in chiazze di candido latte sulla pelle color dell’ebano. Sembrava che la luna avesse preso il posto del sole con l’unico scopo di baciare la perfezione di quei piccoli seni, avvolgere le curve dolci di quei fianchi in spirali di luce morbida ed accompagnare il sinuoso ondeggiare della sua vellutata chioma.
La Donna Di Luna entrò in acqua. Con gli stessi movimenti lineari usati per spogliarsi, mosse un passo alla volta finché il liquido le arrivò da prima alle caviglie, poi al ginocchio, bagnò le lunghe cosce fino ad arrivarle alla schiena. Più entrava, più la luce di luna si spargeva in tutto il lago, illuminandolo. Quando l’acqua le arrivò alle spalle il Bottegaio pensava si sarebbe fermata. Lei continuò. Il lago risplendeva vivido quando l’acqua le arrivò al naso, poi agli occhi, alla fronte e poi la donna fu sommersa. Per un attimo rimase un cerchio formato dai milioni di fili sottili che erano i suoi capelli, poi anch’essi sparirono sott’acqua.
Poche bolle d’aria emersero, poi più nulla. Il Bottegaio si agitò. Non sapeva cosa fare, contava i secondi. Ne passarono dieci, poi venti. Ogni secondo lungo ore, sentiva una goccia di sudore freddo correre lungo la tempia e fermarsi sul mento. Era ormai passato un infinito minuto quando il Bottegaio si decise ad agire: Corse fuori dal suo nascondiglio, sfilo gli stivali e di gran passo si diresse verso il lago. L’acqua era calda ed emanava vapori umidi. I vapori, chiari di luce, nella buia notte creavano un’atmosfera tetra.
Il Bottegaio disperato si guardò intorno, ormai immerso fino alla vita. Infine fece un respiro profondo e si tuffò. Sott’acqua poteva vedere ben poco. Cercava di nuotare verso il fondale per scandagliarlo con le mani. Niente. Riemerse, si guardò nuovamente intorno alla ricerca del minimo indizio, della minima bolla, ma non notò nulla e tornò ad immergersi. Ancora niente.
Era ormai arrivato sotto la cascata, Si immerse nuovamente e cercò sotto a questa. Non fosse stato per la situazione drammatica, il bottegaio avrebbe trovato uno spettacolo di rara bellezza guardando la cascata dal fondo del lago. Anche nei pressi della cascata, niente. Il Bottegaio riemerse sconfortato, ormai c’era ben poco da poter fare. Decise di tornare a riva sott’acqua, in un ultimo, disperato tentativo. Prese più aria che poté, si immerse e spinse forte con braccia e gambe fino a raggiungere il fondo. Cominciò a scandagliarlo con la disperazione dell’ultima possibilità, ma ancora niente. Come avrebbe spiegato l’accaduto al villaggio? Come avrebbe potuto ammettere di aver seguito quella donna per poi restare a guardare mentre moriva?
Riemergendo per l’ultima volta dall’acqua calda, il viso gli fu trafitto dai mille aghi del freddo della notte. Chiuse gli occhi, si portò le mani alla testa e spinse indietro i capelli. Era esausto. Ansimava. Quando riaprì gli occhi scoprì la Donna Di Luna che lo fissava dalla riva. Sembrava aver assistito a tutta la scena. Ora che era bagnata, la luna la abbracciava persino con maggiore intensità. La luce che rifletteva era di un argento vivo che tagliava la notte nettamente, come nettamente un rasoio può tagliare la carne. Dopo pochi secondi di silenzio, la donna parlò con voce sensuale e profonda: “Poco piacevole essere osservato a tua insaputa, non è vero? Non possiedo diritti sul lago e non ti avrei negato la mia compagnia se ti fossi fatto avanti. Non di meno ho però apprezzato la tua premura. Forse ci rivedremo.” Senza alcune vergogna, la donna si girò e si piegò per raccogliere le vesti. L’oscurità celava gran parte dello scuro corpo, ma allo stesso tempo la luna ne risaltava curve e sporgenze. Il cuore del Bottegaio batteva all’impazzata. Sentiva i tamburi da guerra di un intero esercito battere nel suo petto. Lui che, invece, d’imbarazzo ne provava per più d’una ragione, non sapeva se desiderare che quel momento durasse per sempre o finisse all’istante. Non ebbe il tempo di decidere che la donna si raddrizzò, vesti in mano, e prese la strada di casa rivestendosi mentre camminava.
(Capitolo leggermente vietato ai minori
Pennello, questo, che ho amato e odiato. Ebano e acero. Il primo esemplare mi è costato più di una notte insonne, scervellandomi su come risolvere problemi e imprevisti che mi si presentavano uno dietro l’altro. L’ho preparato sotto le feste, potendoci dedicare quindi poco tempo al giorno, ma mi ha monopolizzato due settimane abbondanti di bottega. Ho persino pensato di non essere in grado di finirlo.

L’ebano: durissimo e compatto. L’acero: fragile, morbido e fibroso. Scuro e chiaro. Gli opposti in tutto. Difficile lavorarli assieme.
Fra l’altro ero convinto che l’ebano diventasse così nero solo dopo essere stato impregnato, che fosse di un marrone molto scuro… niente di più sbagliato. Quest’ebano è nero. Nero e basta. La polvere che produce? Nera. Sporca qualsiasi cosa. Legni molto chiari al primo posto. Un incubo.
Non ho potuto levigare il pennello perché le polveri di ebano mi finivano inesorabilmente sull’acero. Senza levigare, l’acero restava troppo fibroso, “a pettine”.
La finitura? Un altro incubo. Se imperfezioni minime, grandi pochi micron (come un mini granello di polvere che ci finisce dentro mentre asciuga) restano invisibili su un legno qualsiasi, su un nero così uniforme, lucidato a specchio, risaltano come fari nella notte. La finitura stessa, alla quale basta poca umidità atmosferica più del normale per creare minuscole zone biancastre normalmente invisibili, sull’ebano portavano degli enormi cartelli con scritto “hei! sono qua!”
Insomma, il mio essere autodidatta è pesato in questo caso. Ho dovuto sperimentare moltissimo, leggere, informarmi, e alla fine il risultato è arrivato. Non la perfezione, ma un buon risultato.
Gran parte delle soluzioni sono arrivate proprio dalla passione che tutti noi condividiamo. Se normalmente affilo le sgorbie con una diamantata 325 ed una candia a slurry, questa volta ho aggiunto alla piramide anche una passata di candia ad acqua, una di belga gialla a slurry ed un ultimo giro sulla belga ad acqua. Così facendo, ho ottenuto una finitura di precisione che mi ha permesso di non dover cartavetrare nulla.
Il secondo esemplare ha già richiesto moooooolto meno tempo, ho imparato più facendo il primo di questi pennelli che con la decina precedente. Sono estremamente soddisfatto dal risultato che trovo maledettamente affascinante.

Ciò nonostante, prima di usare nuovamente questi materiali, i miei nervi avranno bisogno di una pausa
)