[OFF TOPIC] Il Miracolo di Santa Teresa
Inviato: 27/03/2019, 16:36
Non voglio fare concorrenza a Caramon, ma voglio raccontarvi una storia, se posso.
I PARTE
27 marzo 201X. Una città del nord Europa. Mattina presto.
L’odore di Proraso rossa è ancora nelle narici, nonostante la Camel nella mano destra, con la quale mi passo anche ripetutamente il volto: BBS perfetto!
Nell’altra mano il conducente della navetta che la Compagnia nordica sta mandando all’albergo mi parla attraverso un vecchio Nokia.
‘Salve Buongiorno Ciao’, dice in italiano, ‘sono appena fuori la hall’, aggiunge in inglese.
‘Salve a te, anche io… dove ti trovi esattamente?’, mi guardo ripetutamente intorno e giurerei sulla mia testa che non c’è anima viva.
‘Davanti l’ingresso, cioè poco più avanti, davanti il Bellavita’.
Il Bellavita è un ex ristorante italiano del quale non restano nemmeno più le insegne, ma gli abitanti del posto continuano a citarlo. E’ all’angolo tra due strade, poco lontano dalla stazione ferroviaria e da uno dei maggiori alberghi della città, dove sorge anche un parcheggio libero enorme. E’ un punto di riferimento consolidato. Il Bellavita, appunto.
E non è il punto di riferimento migliore per il mio albergo di questa notte...
‘Ottimo’, gli faccio ridendo, ‘io sto al Continental...’, e attendo le imprecazioni.
E’ mattina e il traffico tra poco sarà imprevedibile in questa città formata da un unico grande cerchio e tante, tantissime viette chiuse al traffico. Ovviamente l’aeroporto è esattamente dalla parte opposta, anche se relativamente vicino. In realtà potrei persino arrivarci a piedi, ma la Compagnia non vuole.
‘Oh… bé… è un problema. Si bé… ehm, verifico se possiamo mandare un Taxi, può attendere qualche minuto?’
‘Anche due, amico mio!’. Mi sentivo allegro, riposato ed ero in largo anticipo.
Non amo fare le cose di corsa la mattina, l’ansia di un possibile ritardo, un qualsiasi imprevisto per strada, arrivi a lavoro già stressato. La fase lavorativa deve essere una parte della giornata, non l’inizio, non credete?
Non capisce il modo di dire che uso per salutarlo, ‘dai OK, nessun problema’, esclama qualcosa in lingua locale e mette giù. Avrà pensato che l’ho mandato a quel paese.
I miei ragazzi dormono ancora, hanno avuto turni massacranti ma sono contento di ritrovarli oggi, i turni non ci hanno fatto incontrare per un po' di tempo. Mi toccherà tirarli su di morale, sono la loro mascotte, e solo Stefano, il Primo Ufficiale, è più giovane di me di un paio d’anni.
Siamo tutti italiani, prestati alla Compagnia in un programma di scambio di esperienze, diciamo così.
Parte di loro parla la lingua locale e nel team c’è un assistente ‘originale’, che abita proprio qui vicino al Continental, mi diceva. Laszlo, un ragazzone enorme ma dal sorriso gentile. L’Assistente di Volo più paziente che io abbia mai visto.
Finito il programma, hanno chiesto ad un Equipaggio intero di rimanere per altri 3 mesi. Vogliono capire come fanno gli italiani ad essere così maldestri e al contempo i migliori aviatori del mondo. Questo mi ha dato molti, moltissimi grattacapi per la verità, potrei essere il figlio di molti Comandanti della Compagnia, non parlo la loro lingua, il loro inglese è scadente; e io ho stile, sono educato, e bacio le mani alle signore negli uffici all’aeroporto. Questo lo faccio apposta però: gli stranieri si divertono quando un italiano fa la caricatura di sé stesso.
All’inizio assumevano una faccia come se avessi fatto la cosa più sconveniente del mondo, poi se ne abituarono e ora ne sono contenti.
E i miei colleghi temporanei mi odiano, anche se il rispetto professionale è genuinamente sincero. Sono abituati ad una vita più serena, composta, perfetta. Ma non sanno divertirsi. Non contemplano una battuta, uno scherzo o una risata durante il lavoro.
‘Relax please’, ripetevo spesso in quel periodo al Primo Ufficiale di turno quando iniziava a sventolare a destra e a manca checklist come fosse la soluzione ai mali del mondo.
‘Con calma le cose riescono meglio e più chiare, ma soprattutto capisci meglio cosa stai facendo, perché e come hai fatto’, ripetevo spesso come primo consiglio. ‘Non trovi sul manuale qual’è il tuo problema, inquadralo prima, e cerca la soluzione poi’.
Poi suona il telefono, è la Compagnia che mi informa che invieranno un taxi.
Gli chiedo però di inviarlo ad un indirizzo poco distante, li’ si trova un BAR che ha delle pizzette che non ti dico.
Così mi incammino, fischiettando e guardandomi intorno con calma, come fanno le persone per strada quando passeggiano tranquille e senza pensieri.
Li avviso che anche i tre Colleghi connazionali sono al Continental, perché l’errore non si ripetesse.
Loro scenderanno giusto in tempo, sono dei dormiglioni.
Io invece sono in anticipo di due ore sulla tabella di marcia. Tirato a lucido e pronto per un’altra monotona e sempre uguale giornata a zonzo per il nord del continente.
Certo, loro gentili ed efficienti lo sono senz’altro. E’ una Compagnia medio piccola di persone perbene. Ci stanno trattando come fossimo loro figli, non ci fanno mancare nulla, anche gli extra son pagati entro un certo livello. E noi ricambiamo cercando di trasmettere una passione che da queste parti ho notato non esserci. E un po' di metodo, che non guasta mai. Quando posso, mi sento anche in dovere di correggere alcune brutte abitudini dei Colleghi del posto, ma questo è un altro discorso.
E’ una sorte che capita spesso agli italiani in questo settore, mettersi le mani nei capelli nel vedere come vengono condotte le Compagnie straniere, salvo poi rendersi conto che in molti Paesi, se una cosa funziona… lasciala com’è.
Non diventano facilmente amici, mai una cena con qualche Collega. Si lavora, mi sento tollerato, poi fuori dalle palle. Ma sempre con garbo.
Io e Stefano ripetiamo spesso che temono gli freghiamo tutte le mogli e le figlie. Ed è vero.
Non posso farci nulla se la prima ragazza che mi capitò a tiro il primo giorno qui, e che mi rispose con un sorriso da restarci secco è… la figlia del Capo Supremo. Voglio dire, io come potevo saperlo.
Venni ammonito sul fatto che tra Colleghi alla peggio si beve il caffè prima di prendere turno. E basta.
Ma fortunatamente dopo aver parlato ti lasciano vivere la tua vita, così noi continuammo a vederci per un po', in barba al Capo Supremo.
Ancora non sapevo, passeggiando vero il BAR, che quel 27 marzo l’odore di Proraso Rossa e il dolce sapore di pizzette alla nordica avrebbero lasciato il posto alla prova più dura da quando l’intero Equipaggio aveva deciso per un mestiere di soddisfazioni e imprevisti. Imprevisti rari, che ancora più raramente si presentano sono forma di minaccia autentica. Insomma, proprio quel viaggio su quanti milioni? Proprio quel giorno, proprio quel momento. Proprio noi.
Quel fatto sarebbe passato alla storia della Compagnia, questo è certo.
Della mia storia e di quella di Stefano, di Angela, Letizia, Marcél e Laszlo.
Il giorno del ‘Miracolo di Santa Teresa’.
Continua...
I PARTE
27 marzo 201X. Una città del nord Europa. Mattina presto.
L’odore di Proraso rossa è ancora nelle narici, nonostante la Camel nella mano destra, con la quale mi passo anche ripetutamente il volto: BBS perfetto!
Nell’altra mano il conducente della navetta che la Compagnia nordica sta mandando all’albergo mi parla attraverso un vecchio Nokia.
‘Salve Buongiorno Ciao’, dice in italiano, ‘sono appena fuori la hall’, aggiunge in inglese.
‘Salve a te, anche io… dove ti trovi esattamente?’, mi guardo ripetutamente intorno e giurerei sulla mia testa che non c’è anima viva.
‘Davanti l’ingresso, cioè poco più avanti, davanti il Bellavita’.
Il Bellavita è un ex ristorante italiano del quale non restano nemmeno più le insegne, ma gli abitanti del posto continuano a citarlo. E’ all’angolo tra due strade, poco lontano dalla stazione ferroviaria e da uno dei maggiori alberghi della città, dove sorge anche un parcheggio libero enorme. E’ un punto di riferimento consolidato. Il Bellavita, appunto.
E non è il punto di riferimento migliore per il mio albergo di questa notte...
‘Ottimo’, gli faccio ridendo, ‘io sto al Continental...’, e attendo le imprecazioni.
E’ mattina e il traffico tra poco sarà imprevedibile in questa città formata da un unico grande cerchio e tante, tantissime viette chiuse al traffico. Ovviamente l’aeroporto è esattamente dalla parte opposta, anche se relativamente vicino. In realtà potrei persino arrivarci a piedi, ma la Compagnia non vuole.
‘Oh… bé… è un problema. Si bé… ehm, verifico se possiamo mandare un Taxi, può attendere qualche minuto?’
‘Anche due, amico mio!’. Mi sentivo allegro, riposato ed ero in largo anticipo.
Non amo fare le cose di corsa la mattina, l’ansia di un possibile ritardo, un qualsiasi imprevisto per strada, arrivi a lavoro già stressato. La fase lavorativa deve essere una parte della giornata, non l’inizio, non credete?
Non capisce il modo di dire che uso per salutarlo, ‘dai OK, nessun problema’, esclama qualcosa in lingua locale e mette giù. Avrà pensato che l’ho mandato a quel paese.
I miei ragazzi dormono ancora, hanno avuto turni massacranti ma sono contento di ritrovarli oggi, i turni non ci hanno fatto incontrare per un po' di tempo. Mi toccherà tirarli su di morale, sono la loro mascotte, e solo Stefano, il Primo Ufficiale, è più giovane di me di un paio d’anni.
Siamo tutti italiani, prestati alla Compagnia in un programma di scambio di esperienze, diciamo così.
Parte di loro parla la lingua locale e nel team c’è un assistente ‘originale’, che abita proprio qui vicino al Continental, mi diceva. Laszlo, un ragazzone enorme ma dal sorriso gentile. L’Assistente di Volo più paziente che io abbia mai visto.
Finito il programma, hanno chiesto ad un Equipaggio intero di rimanere per altri 3 mesi. Vogliono capire come fanno gli italiani ad essere così maldestri e al contempo i migliori aviatori del mondo. Questo mi ha dato molti, moltissimi grattacapi per la verità, potrei essere il figlio di molti Comandanti della Compagnia, non parlo la loro lingua, il loro inglese è scadente; e io ho stile, sono educato, e bacio le mani alle signore negli uffici all’aeroporto. Questo lo faccio apposta però: gli stranieri si divertono quando un italiano fa la caricatura di sé stesso.
All’inizio assumevano una faccia come se avessi fatto la cosa più sconveniente del mondo, poi se ne abituarono e ora ne sono contenti.
E i miei colleghi temporanei mi odiano, anche se il rispetto professionale è genuinamente sincero. Sono abituati ad una vita più serena, composta, perfetta. Ma non sanno divertirsi. Non contemplano una battuta, uno scherzo o una risata durante il lavoro.
‘Relax please’, ripetevo spesso in quel periodo al Primo Ufficiale di turno quando iniziava a sventolare a destra e a manca checklist come fosse la soluzione ai mali del mondo.
‘Con calma le cose riescono meglio e più chiare, ma soprattutto capisci meglio cosa stai facendo, perché e come hai fatto’, ripetevo spesso come primo consiglio. ‘Non trovi sul manuale qual’è il tuo problema, inquadralo prima, e cerca la soluzione poi’.
Poi suona il telefono, è la Compagnia che mi informa che invieranno un taxi.
Gli chiedo però di inviarlo ad un indirizzo poco distante, li’ si trova un BAR che ha delle pizzette che non ti dico.
Così mi incammino, fischiettando e guardandomi intorno con calma, come fanno le persone per strada quando passeggiano tranquille e senza pensieri.
Li avviso che anche i tre Colleghi connazionali sono al Continental, perché l’errore non si ripetesse.
Loro scenderanno giusto in tempo, sono dei dormiglioni.
Io invece sono in anticipo di due ore sulla tabella di marcia. Tirato a lucido e pronto per un’altra monotona e sempre uguale giornata a zonzo per il nord del continente.
Certo, loro gentili ed efficienti lo sono senz’altro. E’ una Compagnia medio piccola di persone perbene. Ci stanno trattando come fossimo loro figli, non ci fanno mancare nulla, anche gli extra son pagati entro un certo livello. E noi ricambiamo cercando di trasmettere una passione che da queste parti ho notato non esserci. E un po' di metodo, che non guasta mai. Quando posso, mi sento anche in dovere di correggere alcune brutte abitudini dei Colleghi del posto, ma questo è un altro discorso.
E’ una sorte che capita spesso agli italiani in questo settore, mettersi le mani nei capelli nel vedere come vengono condotte le Compagnie straniere, salvo poi rendersi conto che in molti Paesi, se una cosa funziona… lasciala com’è.
Non diventano facilmente amici, mai una cena con qualche Collega. Si lavora, mi sento tollerato, poi fuori dalle palle. Ma sempre con garbo.
Io e Stefano ripetiamo spesso che temono gli freghiamo tutte le mogli e le figlie. Ed è vero.
Non posso farci nulla se la prima ragazza che mi capitò a tiro il primo giorno qui, e che mi rispose con un sorriso da restarci secco è… la figlia del Capo Supremo. Voglio dire, io come potevo saperlo.
Venni ammonito sul fatto che tra Colleghi alla peggio si beve il caffè prima di prendere turno. E basta.
Ma fortunatamente dopo aver parlato ti lasciano vivere la tua vita, così noi continuammo a vederci per un po', in barba al Capo Supremo.
Ancora non sapevo, passeggiando vero il BAR, che quel 27 marzo l’odore di Proraso Rossa e il dolce sapore di pizzette alla nordica avrebbero lasciato il posto alla prova più dura da quando l’intero Equipaggio aveva deciso per un mestiere di soddisfazioni e imprevisti. Imprevisti rari, che ancora più raramente si presentano sono forma di minaccia autentica. Insomma, proprio quel viaggio su quanti milioni? Proprio quel giorno, proprio quel momento. Proprio noi.
Quel fatto sarebbe passato alla storia della Compagnia, questo è certo.
Della mia storia e di quella di Stefano, di Angela, Letizia, Marcél e Laszlo.
Il giorno del ‘Miracolo di Santa Teresa’.
Continua...