Capitolo 9
All’interno, il camino e le numerose candele appese ovunque riscaldavano le pareti con ambrati, allegri, sussurri di luce. Quando il Bottegaio si chiuse la porta alle spalle e un ultima folata di vento entrò con lui, i sussurri divennero grida, le fiamme arsero e le ombre impazzirono. Un secondo dopo tornarono a bisbigliare, più calme e calde di prima.
Senza una parola, la donna afferrò un boccale consunto, lo posizionò sotto il rubinetto di una botte scura e spinò a caduta una birra torbida, color del rame. Con pazienza aspettò che la schiuma calasse per poi rimboccare. Eseguì la stessa operazione altre due volte, prima di porgerla al Bottegaio.
La donna attese l’approvazione del Bottegaio, che giunse sincera subito dopo la prima sorsata, per sentenziare quella che non aveva affatto l’aria di una richiesta: “Racconta, dunque, qual’è la tua storia”. Per il Bottegaio non fu difficile ripetere a voce alta i medesimi ricordi che stava rivangando poco prima, in riva al fiume.
La locandiera ascoltò avida senza far trasparire molte emozioni. Al Bottegaio sembrava annoiata non fosse per l’eccitazione che solo gli occhi tradivano. Quando infine lui tacque, fu subito lei a parlare. “Devi essere molto stanco, se tutto quello che racconti è vero. Sopra ci sono delle stanze. Le mie figliocce la accompagnaranno”. “Lei è molto gentile” rispose il bottegaio “ma sfortunatamente non ho denaro con me”.
“Nulla qui costa denaro. Ognuno paga con quel che è bravo a fare e lei è bravo a raccontare. Non si senta in debito con me. Pensa di continuare a sfruttare questa sua dote, per mantenersi, durante la sua permanenza fra di noi?”. “invero, mia cara signora” rispose il Bottegaio “c’è altra dote nella quale eccelo e amo coltivare; vede, Affioro il Bello. Mi diletto nel riconoscer in ogni dama, la bellezza assopita. Brillo nel destarla, smuovendo le giuste leve, sfruttando la singolare magnificenza che ci distingue l’un dall’altro; un concetto poco distante dalla moneta locale, mi par d’intendere”. Lei lo guardò storto e pensò solo un attimo prima di replicare “Con me seguirete a pagar parlando, dunque. Non c’è Bellezza che non abbia già destato. Potreste voler passar del tempo con le mie “bambine”, però. Eccole che arrivano”.
(Un gentilissimo membro del forum mi ha commissionato questo lavoro estremamente interessante. Mi ha spedito il manico in ferro trovato in un necessarie da viaggio d’epoca - in condizioni molto diverse da quelle che vedete ora - chiedendomi se fosse possibile farne una replica in legno.
Il diametro interno del manico è di soli 19mm e non avevo in casa ciuffi così piccoli. Comunque un ciuffo tanto piccolo è difficilmente godibile, gli ho proposto un ciuffo da 22mm ma ormai fra 22 e 24 il passo è breve, così ci siamo accordati per farne una replica in scala con i miei soliti nodi da 24. Inoltre ho deciso di fare un esperimento, ristrutturando, lucidando e riciuffando il vecchio manico in acciaio che mi sembrava gli stesse a cuore.
Restava il problema del ciuffo da 19. In questi mesi ho provato molti ciuffi, alla continua ricerca di un miglioramento costante. Fra questi ho provato quelli di due siti americani molto famosi, il 90% dei produttori di pennelli americani usa questi ciuffi e così ho deciso di prenderne qualcuno. Sono molto morbidi ma non mi soddisfano a livello di densità e mai li avrei messi su un mio manico. Al massimo li userò per un regalo a qualche parente poco simpatico o per uso personale. Ho preso una decisione drastica:
Ho tagliato alla base uno di questi ciuffi, ho infilato il maggior numero di peli possibile in un tubo di pvc da 20mm
Colla bicomponente in un altra piccola sezione dello stesso tubo e via.
Il giorno dopo ho dremelato via il pvc e 1mm di diametro
fino a farlo entrare nel manico.
E’ venuto un lavoro leggermente più sporco del previsto… ho sbagliato di 1mm la profondità del nodo e si vede leggermente la colla alla base. Poi ho dovuto andare a spostare urgentemente la macchina nel momento più delicato, mentre avevo tutti i peli sciolti in mano, e… vabeh, è venuto un nodo di densità discreta che dovrebbe essere assolutamente gradevole nonostante sia sottile.)
Le figlie scendevano la scalinata di legno bruno che portava al piano superiore, con le braccia cariche di lenzuola da lavare. Le depositarono in un cesto di vimini e raggiunsero la madre in attesa di nuovi ordini. Accomunate solo da sciattaggine e dalla bassa statura, sembravano avere molti anni di differenza. La maggiore pareva quasi esser più vecchia della stessa madre. Bassa come basse il Bottegaio ne aveva viste poche, aveva un vago ricordo di regalità nei gesti. Ricordo coperto da strati e strati di noia ed abbandono. Aveva il peso di troppi anni mal passati sulle spalle. La piccola, vestita con lo stesso grembiule a coste color ocra della maggiore, era molto giovane e di poco più alta della sorella. I movimenti vispi ed i piedini in costante movimento contrastavano terribilmente con la tristezza che le aleggiava negli occhi. Una piatta, apatica, tristezza. “Portate le sue cose di sopra e mostrategli la stanza”.
Così accadde. Gli mostrarono la stanza, poi il villaggio, poi i boschi nei dintorni, la cascata calda a pochi minuti di camminata in direzione della Grande Montagna, gli mostrarono il verde dirupo dove portavano a brucare la giovane capretta, in pochi giorni gli mostrarono tutto quello che riuscivano a pensare potesse interessare al Bottegaio. Amavano stare in sua compagnia. Amavano parlare con lui.
Lui, dal suo canto, amava praticare la sua arte: la Bellezza era Affiorata. Aveva spinto la grande a godere di ogni momento. Seppur ferrea nello svolgimento delle sue mansioni, a trovare di che divertirsi in ogni azione, come faceva la sorella minore. Lei ora risplendeva nel suo bel grembiule nuovo con un sorriso ad illuminarle il volto. Sembrava serena, persino ringiovanita.
La sorella minore le correva attorno, di ritorno dall’ennesima escursione, gli occhi erano ora in sintonia con la sua età ed energia. Era Felice. Vedeva nella sorella maggiore un modello da imitare; Cercava di esserle simile, ed ora che questa a sua volta vedeva in lei un esempio di spensierateza, si era innescata una reazione a catena che le aveva portate ad essere, semplicemente, quello che da sempre erano destinate ad essere, piuttosto che di loro l’ombra.
Rientrati alla locanda, il Bottegaio si avvicinò al bancone, chiese una birra e si preparò a raccontare alla Locandiera della giornata appena trascorsa. Lei lo fermò con un gesto della mano. Finì con apparente noncuranza di riempire la sua pipa di tabacco fresco, poi parlò:” Non hai nulla da pagar parlando” fece una pausa guardando le scale ed ascoltando i suoni felici delle figlie che scherzavano al piano di sopra “anzi, son io ad esserti in debito”.
Il Bottegaio sorrise amabilmente, bevve un altro sorso, si asciugò i baffi dalla schiuma con il dorso della mano e poi propose “ciò nonostante io continuerei, se non ti disturba. Magri potresti altresì osar tu stessa a raccontar le tue avventure”.
(Questo capitolo è uscito lunghiiiiiiisssimo! Sta diventando sempre più difficile dare opportunità al Bottegaio di conoscere donzelle nuove in maniera credibile… Oh, questo conosce più patonza di Rocco al festival dell’arrapata… Relazionare, poi, le donzelle con il progetto del momento… non facile. Cercherò di essere più conciso. Prometto)