Energia Nucleare
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Energia Nucleare
In questi ultimi mesi non si è fatto altro che parlare, sovente a sproposito, di problema nucleare, appena dopo il disastroso terremoto che ha colpito il Giappone.
Il terremoto ha creato ovviamente danni alle infrastrutture, quindi anche agli impianti nucleari del luogo.Il recente allarme nucleare in Giappone ha riacceso i riflettori sui danni che una fuoriuscita radioattiva è in grado di causare all’uomo. Nel corso della nostra recente “storia nucleare” infatti, si sono verificati numerosi incidenti con conseguenze talvolta catastrofiche per la nostra specie.
Questo thread non vuole rappresentare una sorta di propaganda pro-contro nucleare (men che meno di stampo politico) e neppure un sondaggio a cui rispondere:-
"Sono favorevole o sono contrario", come accade su forum nucleare, sito che difetta totalmente di informazione scientifica riguardo al funzionamento di un impianto nucleare moderno.Vorrei radunare qui i miei scritti a proposito su questo tema, postero' anche nella bibliografia testi da me consultati e link a siti on line di approfondimento.Ognuno di voi poi si farà una idea a riguardo da discutere in sede, se lo desidera.
Discussione Generale sul Nucleare
Politiche Nucleari e Amministrazione del Nucleare
Sicurezza e Proliferazione Nucleare
Trattamento e Stoccaggio Rifiuti Nucleari
Articoli Scientifici Sull'Uso del Torio
Impianti Nucleari nel mondo
Discussioni Generali sul Futuro del Nucleare
Problemi Energetici di Carattere Generale
Progettazione Reattori al Floruro di Torio Liquido
Elaborazione Reattori al Fluoruro di Torio Liquido
Fluidodinamica di un Reattore
Sistemi Industriali di Conversione dell'Energia (Turbine)
Dinamica e Controllo di un Reattore
Applicazioni Varie
Reattori Raffreddati ad Acqua
Reattori Raffreddati a Gas
Reattori Raffreddati a metalli Liquidi
Reattori Raffreddati a Sale Fuso
Arricchimento dell'Uranio
Il terremoto ha creato ovviamente danni alle infrastrutture, quindi anche agli impianti nucleari del luogo.Il recente allarme nucleare in Giappone ha riacceso i riflettori sui danni che una fuoriuscita radioattiva è in grado di causare all’uomo. Nel corso della nostra recente “storia nucleare” infatti, si sono verificati numerosi incidenti con conseguenze talvolta catastrofiche per la nostra specie.
Questo thread non vuole rappresentare una sorta di propaganda pro-contro nucleare (men che meno di stampo politico) e neppure un sondaggio a cui rispondere:-
"Sono favorevole o sono contrario", come accade su forum nucleare, sito che difetta totalmente di informazione scientifica riguardo al funzionamento di un impianto nucleare moderno.Vorrei radunare qui i miei scritti a proposito su questo tema, postero' anche nella bibliografia testi da me consultati e link a siti on line di approfondimento.Ognuno di voi poi si farà una idea a riguardo da discutere in sede, se lo desidera.
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Arricchimento dell'Uranio
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Re: Energia Nucleare
In cosa consiste l'arricchimento dell'Uranio
La grande maggioranza dei reattori nucleari civili attualmente in servizio sono reattori termici.I Reattori termici possono utilizzare solo i nuclei fissili come combustibile (a differenza di reattori veloci che possono anche essere dei nuclei fissili). L'uranio naturale è composto da oltre il 99% non fissile U-238, con fissile U-235 è solo lo 0,7% del totale.Il Combustibile di uranio per un reattore ad acqua leggera termica utilizzando come moderatore deve avere almeno il 3% di U-235. Il processo di produzione di combustibile uranio con una parte maggiore di U-235 è conosciuto come arricchimento. Il problema principale con qualsiasi procedura per modificare la composizione isotopica di un campione di qualsiasi elemento è che i processi chimici molto raramente distinguere tra diversi isotopi dello stesso elemento, per cui i metodi non chimici di solito sono necessari. Questo storicamente tende a rendere la tecnologia di arricchimento difficile, complesso, costoso e ad alta intensità energetica, anche se la situazione è leggermente migliorata.
Principi fondamentali economici di arricchimento dell'uranio:
Ci sono due considerazioni di base che regolano l'economia di arricchimento dell'uranio. Queste sono le quantità di lavoro separativo e la massa di uranio naturale materia prima necessaria per produrre una data quantità di uranio arricchito a un dato livello di arricchimento.
La quantità di lavoro di separazione necessario per l'arricchimento dell'uranio è misurato in unità speciale conosciuta come unità di lavoro separativo (ULS) L'ULS è una misura della quantità di lavoro svolto nel processo di separazione isotopica. Essi sono di solito espresse in unità di SWUs chilogrammo, o SWUs tonnellata. A Un SWU richiederà diverse quantità di energia a seconda del processo di arricchimento utilizzato. Una descrizione dettagliata del SWU è disponibile sui seguenti siti:
http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html
L'uranio naturale come materia prima:
In aggiunta alle unità di lavoro separativo fornita da un impianto di arricchimento, l'altro parametro importante da considerare è la massa di uranio naturale necessaria per produrre una massa di uranio arricchito desiderato. Come per il numero di SWUs, la quantità di materiale, materie prime richiesto dipenderà dal livello di arricchimento desiderato e dalla quantità di U-235 che finisce nei DU. A differenza del numero di SWUs richiesto durante l'arricchimento, che aumenta con livelli decrescenti di U-235 nel flusso impoverito, la quantità di uranio naturale necessaria diminuirà con livelli decrescenti di 235U che finiscono nel DU.
Conseguenze economiche dell'interazione tra SWUs e la Materia prima:
Mettendo questi due fattori insieme in un esempio illustrativo, a un arricchimento di uranio per l'impiego in un reattore ad acqua leggera è tipico per il flusso arricchito al 3,6% contengono U-235 (rispetto al 0,7% in uranio naturale), mentre il flusso impoverito contiene 0,2% al 0,3% U-235. Per produrre un chilogrammo di questo LEU richiederebbe circa 8 chilogrammi di uranio naturale e 4,5 SWU se il flusso DU è stato permesso di avere 0,3% U-235. D'altra parte, se il flusso impoverito aveva solo lo 0,2% di U-235, allora sarebbe necessario soli 6,7 chilogrammi di uranio naturale, ma circa 5,7 SWU di arricchimento. Poiché la quantità di uranio naturale richiesto e il numero di SWUs richiesto durante il cambio di arricchimento in direzioni opposte, se l'uranio naturale è a buon mercato e servizi di arricchimento sono più costosi, poi gli operatori in genere scegliere di consentire più U-235 per essere lasciata nelle DU torrente che, se l'uranio naturale è più costosa e di arricchimento è meno così, allora avrebbero scelto il contrario.
Downblending e il Megatons Per Programma Megawatt:
Un altro fattore che ha influenzato l'economia di arricchimento dell'uranio negli ultimi due decenni è la pratica di downblending. Questa è la produzione di uranio per il carburante dei reattori per diluizione di HEU provenienti da testate nucleari con l'uranio impoverito. Questo è stato fatto dal 1995 sotto gli auspici del Megatons Per programmare Megawatt mandato del 1993, gli Stati Uniti-Russia, accordo di non proliferazione, con 400 tonnellate di HEU russo trasformati in combustibile per i reattori statunitensi a partire dal settembre 2010. Questo carburante ha fornito la metà della potenza attualmente generata da reattori civili degli Stati Uniti. Il programma è prevista per fine nel 2013, quando ormai per un totale di 500 tonnellate di uranio altamente arricchito da ex testate sovietiche sarà stato consumato. La denuncia del presente programma sarà probabilmente aumentare la domanda di servizi di arricchimento di tutto il mondo.
Gradi di Arricchimento dell'Uranio:
L'uranio può essere arricchito a qualsiasi livello desiderato a seconda della quantità di lavoro eseguito separativo. Ci sono una serie di livelli di arricchimento riconosciuto.
L'uranio impoverito (DU):
Il DU è l'uranio derivante dalla coda del processo di arricchimento, così chiamato perché è impoverito in U-235 rispetto a uranio naturale.Il DU di solito ha un contenuto di U-235 del 0,2-0,3%
L'uranio leggermente arricchito (SEU):
SEU è un tipo relativamente nuovo di uranio arricchito con U-235 livelli compresi tra 0,9% e 2%. SEU è talvolta usato a preferenza di uranio naturale per i reattori ad acqua pesante, ed è stato proposto come il tipo di carburante per l'ACR-1000 progettazione del reattore, inteso come una variante avanzata della serie CANDU.
Uranio a basso arricchimento (LEU):
LEU è l'uranio che è stato arricchito a meno del 20% di U-235 composizione. L'Uranio usato come carburante per reattori ad acqua leggera è arricchito tra il 3% e il 5%. I Reattori di ricerca e produzione di isotopi medici reattori utilizzano in genere più alti livelli di arricchimento, circa il 12% o più. Il reattore di Lucas Heights OPAL utilizza uranio arricchito a poco meno del 20% di U-235.
Uranio altamente arricchito (HEU):
HEU è l'uranio arricchito al di sopra del 20% di U-235. Viene utilizzato in alcuni reattori di ricerca e produzione di isotopi, e viene utilizzato anche nelle centrali nucleari per navi da guerra come i sottomarini nucleari e portaerei, in cui i livelli elevati di arricchimento consentire design compatto impianto.
L'uranio weapon-grade (WGU):
L' HEU arricchito al 85% di U-235 e soprattutto è anche conosciuto come uranio weapon-grade. Questo è il grado di uranio utilizzato per la produzione di alcune armi nucleari.
Processi di arricchimento:
L'arte di arricchimento dell'uranio, risale al secondo conflitto mondiale, quando un certo numero di approcci sono stati portati attraverso lo sviluppo sotto la pressione della domanda militare. Alcune tecniche primi che sono state abbandonate in favore di metodi più efficaci sono stati diffusione termica, che sfruttava la tendenza di isotopi più leggeri di diffondere verso superfici più calde e più fredde verso isotopi più pesanti, e la separazione degli isotopi elettromagnetico, che ha usato un potente campo magnetico di fasci separati di uranio ioni in flussi differenti secondo la massa atomica.Queste tecniche sono state ampiamente abbandonate in favore della diffusione gassosa, e più recentemente, il processo di centrifugazione gassosa.
Diffusione gassosa:
La Diffusione gassosa fu il primo processo di arricchimento dell'uranio impiegato su larga scala nel settore del nucleare civile. E ' stato impiegato la prima volta presso l'impianto di Oak Ridge per il Progetto Manhattan durante la Seconda Guerra Mondiale, e fu poi utilizzato in un certo numero di nazioni di tutto il mondo per i loro programmi nucleari civili. In questo processo, l'uranio si combina con il fluoro in forma di esafluoruro di uranio (UH6) di gas e forzata attraverso membrane semipermeabili, producendo una leggera separazione di molecole che trasportano U-235 e U-238. Il processo si basa sulla legge di Graham, che descrive la tendenza di leggere le molecole di fuggire da un contenitore con un semi-permeabile parete della membrana più veloce di molecole più pesanti. Con l'ausilio di una cascata di molti stadi, qualsiasi grado dato di U-235 arricchimento può eventualmente essere raggiunto.
La Diffusione gassosa è un processo ad alta intensità energetica, che richiedono in ordine di 2.500 chilowattora per eseguire una SWU chilogrammo. Produrre LEU per il carburante LWR utilizzando diffusione gassosa richiede circa un quarantesimo del quantità di energia eventualmente ottenuti da esso. Il processo di diffusione gassosa attualmente si produce circa il 33% di uranio arricchito al mondo.
Centrifughe di processo gassoso:
Il processo di centrifuga a gas utilizza cilindri rotanti per concentrare l'isotopo più pesante intorno al cerchio e raccogliere l'U-235-ricchi porzione da vicino l'asse di rotazione. Questo processo è molto più efficiente il processo di anziani diffusione gassosa, che richiede un minimo di 2% della energia per svolgere il lavoro equivalente separativo. Un impianto di centrifuga gassoso può eseguire una SWU chilogrammo per circa 50-60 ore kilowatt. Impianti di centrifugazione gassosa attualmente producono circa il 54% di uranio arricchito al mondo.
Una centrifuga migliorato conosciuta come la centrifuga Zippe (dal nome di Gernot Zippe, lo scienziato tedesco il merito di sua invenzione), utilizza un gradiente di temperatura lungo tutta la lunghezza del cilindro per aumentare la separazione degli isotopi leggeri e pesanti. Questo tipo è stato utilizzato dalla Urenco ditta commerciale per l'arricchimento dell'uranio, ed è anche creduto di essere stato utilizzato da parte del Pakistan nel suo programma di armamento nucleare.
Arricchimento Laser:
Alcune tecniche laser di arricchimento sono state prese in considerazione. Quella attualmente riceve il maggior interesse è il processo SILEX, in piedi per la separazione degli isotopi di eccitazione laser. Il processo SILEX è di particolare interesse per l'Australia come CSIRO ha giocato un ruolo importante nel suo sviluppo. SILEX è attualmente in sviluppo presso GE Energy Hitachi nucleare in accordo con i sistemi Silex. Dettagli del processo e le prestazioni sono fortemente classificati, ma si dice che SILEX offre un ordine di grandezza migliori prestazioni sul processo di centrifugazione gassosa.
Due altre tecniche di arricchimento al laser sono state studiate.Queste sono AVLIS (atomica vapore Laser separazione degli isotopi) e MLIS (Molecolare Laser separazione isotopica). Queste tecniche hanno incontrato difficoltà tecniche che hanno chiuso i battenti più sforzi per svilupparle.
Altre Tecniche di arricchimento:
Qualche lavoro di sviluppo è stato fatto in altri processi, a volte raggiungendo la fase di impianto pilota, e in almeno un caso, piantare una scala operativa.Il più significativo di questi è stato probabilmente il processo di separazione Vortex Helikon sviluppato da società UCOR del Sud Africa. UCOR operated a plant in from the 1970s through to 1991 using this technology to produce LEU for civilian nuclear fuel and WGU for South Africa's nuclear weapons program.La UCOR ha gestito un impianto in dal 1970 fino al 1991 con questa tecnologia per la produzione di LEU per il settore civile del combustibile nucleare e WGU per il programma nucleare militare del Sud Africa . La tecnica consiste nel forzare un flusso di UH6 diluito con l'idrogeno. Il tubo funge così da centrifuga.Il processo utilizza grandi quantità di energia elettrica, ha esigenze di raffreddamento sostanziale, e quindi non è considerato economico per la produzione di combustibile del reattore. Nel corso della sua vita operativa la pianta si dice che abbia prodotto centinaia di chilogrammi di uranio altamente arricchito. Un processo alternativo aerodinamico è stato utilizzato in un impianto dimostrativo in Brasile che ha affrontato questioni simili alla pianta del Sud Africa, ed è stato chiuso.
Oltre a questi approcci aerodinamica, i processi di separazione chimica e dei processi di separazione a plasma sono stati provati. La maggior parte di questi sforzi sono stati ridimensionati, e nessuno al momento fornisce un contributo significativo alla capacità di arricchimento dell'uranio .
Proliferazione :
L'arricchimento dell'uranio è una delle fasi più delicate del ciclo del combustibile nucleare a causa della sua potenziale capacità di produrre uranio weapon-grade. L'uranio deve essere arricchito a oltre l'85% di U-235 prima che sia adatto per produzione di armi nucleari, ma è ancora lo stesso processo utilizzato per creare LEU per civile del combustibile nucleare, anche se portato a termine ad un livello molto più alto. La capacità di arricchimento è quindi considerato come una potenziale minaccia della proliferazione nucleare, ed è per questo programma iraniano di arricchimento dell'uranio ha ricevuto tanta attenzione scetticismo dalla comunità internazionale.
Anche se il futuro a lungo termine con la tecnologia nucleare è allevatore reattore, l'espansione principale in infrastrutture nucleari nei prossimi decenni sarà quasi certamente del tipo LWR, che richiedono un approvvigionamento affidabile di LEU per il carburante dei reattori sul mercato globale. Ci sono mosse preliminari in corso guidate dal l'Agenzia internazionale dell'energia atomica, in collaborazione con la Russia, gli Stati Uniti e gli altri a stabilire centri internazionali di arricchimento dell'uranio per la fornitura di LEU al mercato internazionale. Questo ha lo scopo di garantire l'approvvigionamento delle nazioni molti esprimono interesse a sviluppare i propri programmi di nucleare civile, diminuendo così la giustificazione per i nuovi giocatori di sviluppare le loro capacità nazionali di arricchimento dell'uranio. L'Australia potrebbe potenzialmente svolgere un ruolo in questo sistema di creazione di un centro internazionale di arricchimento qui, utilizzando la tecnologia centrifuga a gas o tecnologia SILEX, arricchendo l'uranio estratto a livello locale a livelli di LEU e fornendo a clienti che hanno aderito al programma. In questo modo, l'Australia potrebbe svolgere un ruolo importante nel limitare la diffusione di capacità di costruire armi nucleari in tutto il mondo in questa particolare fase storica dell'uso del nucleare.La realizzazione di un tale centro potrebbe anche assicurare l'Australia di offerta locale di carburante LEU per le nostre centrali nucleari proprio una volta che abbiamo stabilito la nostra industria nazionale energia nucleare.
Per ulteriori informazioni:
Maggiori dettagli in materia di arricchimento dell'uranio si possono trovare sui seguenti siti:
http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html
http://www.world-nuclear.org/info/inf28.html http://www.world-nuclear.org/info/inf28.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Enriched_uranium http://en.wikipedia.org/wiki/Enriched_uranium
http://energyfromthorium.com/2010/08/06/loveswu1/ http://energyfromthorium.com/2010/08/06/loveswu1/
http://energyfromthorium.com/2010/08/07/loveswu2/ http://energyfromthorium.com/2010/08/07/loveswu2/
http://energyfromthorium.com/2010/08/09/loveswu3/ http://energyfromthorium.com/2010/08/09/loveswu3/
http://energyfromthorium.com/2010/08/15/loveswu4/ http://energyfromthorium.com/2010/08/15/loveswu4/
http://energyfromthorium.com/2010/08/24 ... -function/ http://energyfromthorium.com/2010/08/24 ... -function/
La grande maggioranza dei reattori nucleari civili attualmente in servizio sono reattori termici.I Reattori termici possono utilizzare solo i nuclei fissili come combustibile (a differenza di reattori veloci che possono anche essere dei nuclei fissili). L'uranio naturale è composto da oltre il 99% non fissile U-238, con fissile U-235 è solo lo 0,7% del totale.Il Combustibile di uranio per un reattore ad acqua leggera termica utilizzando come moderatore deve avere almeno il 3% di U-235. Il processo di produzione di combustibile uranio con una parte maggiore di U-235 è conosciuto come arricchimento. Il problema principale con qualsiasi procedura per modificare la composizione isotopica di un campione di qualsiasi elemento è che i processi chimici molto raramente distinguere tra diversi isotopi dello stesso elemento, per cui i metodi non chimici di solito sono necessari. Questo storicamente tende a rendere la tecnologia di arricchimento difficile, complesso, costoso e ad alta intensità energetica, anche se la situazione è leggermente migliorata.
Principi fondamentali economici di arricchimento dell'uranio:
Ci sono due considerazioni di base che regolano l'economia di arricchimento dell'uranio. Queste sono le quantità di lavoro separativo e la massa di uranio naturale materia prima necessaria per produrre una data quantità di uranio arricchito a un dato livello di arricchimento.
La quantità di lavoro di separazione necessario per l'arricchimento dell'uranio è misurato in unità speciale conosciuta come unità di lavoro separativo (ULS) L'ULS è una misura della quantità di lavoro svolto nel processo di separazione isotopica. Essi sono di solito espresse in unità di SWUs chilogrammo, o SWUs tonnellata. A Un SWU richiederà diverse quantità di energia a seconda del processo di arricchimento utilizzato. Una descrizione dettagliata del SWU è disponibile sui seguenti siti:
http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html
L'uranio naturale come materia prima:
In aggiunta alle unità di lavoro separativo fornita da un impianto di arricchimento, l'altro parametro importante da considerare è la massa di uranio naturale necessaria per produrre una massa di uranio arricchito desiderato. Come per il numero di SWUs, la quantità di materiale, materie prime richiesto dipenderà dal livello di arricchimento desiderato e dalla quantità di U-235 che finisce nei DU. A differenza del numero di SWUs richiesto durante l'arricchimento, che aumenta con livelli decrescenti di U-235 nel flusso impoverito, la quantità di uranio naturale necessaria diminuirà con livelli decrescenti di 235U che finiscono nel DU.
Conseguenze economiche dell'interazione tra SWUs e la Materia prima:
Mettendo questi due fattori insieme in un esempio illustrativo, a un arricchimento di uranio per l'impiego in un reattore ad acqua leggera è tipico per il flusso arricchito al 3,6% contengono U-235 (rispetto al 0,7% in uranio naturale), mentre il flusso impoverito contiene 0,2% al 0,3% U-235. Per produrre un chilogrammo di questo LEU richiederebbe circa 8 chilogrammi di uranio naturale e 4,5 SWU se il flusso DU è stato permesso di avere 0,3% U-235. D'altra parte, se il flusso impoverito aveva solo lo 0,2% di U-235, allora sarebbe necessario soli 6,7 chilogrammi di uranio naturale, ma circa 5,7 SWU di arricchimento. Poiché la quantità di uranio naturale richiesto e il numero di SWUs richiesto durante il cambio di arricchimento in direzioni opposte, se l'uranio naturale è a buon mercato e servizi di arricchimento sono più costosi, poi gli operatori in genere scegliere di consentire più U-235 per essere lasciata nelle DU torrente che, se l'uranio naturale è più costosa e di arricchimento è meno così, allora avrebbero scelto il contrario.
Downblending e il Megatons Per Programma Megawatt:
Un altro fattore che ha influenzato l'economia di arricchimento dell'uranio negli ultimi due decenni è la pratica di downblending. Questa è la produzione di uranio per il carburante dei reattori per diluizione di HEU provenienti da testate nucleari con l'uranio impoverito. Questo è stato fatto dal 1995 sotto gli auspici del Megatons Per programmare Megawatt mandato del 1993, gli Stati Uniti-Russia, accordo di non proliferazione, con 400 tonnellate di HEU russo trasformati in combustibile per i reattori statunitensi a partire dal settembre 2010. Questo carburante ha fornito la metà della potenza attualmente generata da reattori civili degli Stati Uniti. Il programma è prevista per fine nel 2013, quando ormai per un totale di 500 tonnellate di uranio altamente arricchito da ex testate sovietiche sarà stato consumato. La denuncia del presente programma sarà probabilmente aumentare la domanda di servizi di arricchimento di tutto il mondo.
Gradi di Arricchimento dell'Uranio:
L'uranio può essere arricchito a qualsiasi livello desiderato a seconda della quantità di lavoro eseguito separativo. Ci sono una serie di livelli di arricchimento riconosciuto.
L'uranio impoverito (DU):
Il DU è l'uranio derivante dalla coda del processo di arricchimento, così chiamato perché è impoverito in U-235 rispetto a uranio naturale.Il DU di solito ha un contenuto di U-235 del 0,2-0,3%
L'uranio leggermente arricchito (SEU):
SEU è un tipo relativamente nuovo di uranio arricchito con U-235 livelli compresi tra 0,9% e 2%. SEU è talvolta usato a preferenza di uranio naturale per i reattori ad acqua pesante, ed è stato proposto come il tipo di carburante per l'ACR-1000 progettazione del reattore, inteso come una variante avanzata della serie CANDU.
Uranio a basso arricchimento (LEU):
LEU è l'uranio che è stato arricchito a meno del 20% di U-235 composizione. L'Uranio usato come carburante per reattori ad acqua leggera è arricchito tra il 3% e il 5%. I Reattori di ricerca e produzione di isotopi medici reattori utilizzano in genere più alti livelli di arricchimento, circa il 12% o più. Il reattore di Lucas Heights OPAL utilizza uranio arricchito a poco meno del 20% di U-235.
Uranio altamente arricchito (HEU):
HEU è l'uranio arricchito al di sopra del 20% di U-235. Viene utilizzato in alcuni reattori di ricerca e produzione di isotopi, e viene utilizzato anche nelle centrali nucleari per navi da guerra come i sottomarini nucleari e portaerei, in cui i livelli elevati di arricchimento consentire design compatto impianto.
L'uranio weapon-grade (WGU):
L' HEU arricchito al 85% di U-235 e soprattutto è anche conosciuto come uranio weapon-grade. Questo è il grado di uranio utilizzato per la produzione di alcune armi nucleari.
Processi di arricchimento:
L'arte di arricchimento dell'uranio, risale al secondo conflitto mondiale, quando un certo numero di approcci sono stati portati attraverso lo sviluppo sotto la pressione della domanda militare. Alcune tecniche primi che sono state abbandonate in favore di metodi più efficaci sono stati diffusione termica, che sfruttava la tendenza di isotopi più leggeri di diffondere verso superfici più calde e più fredde verso isotopi più pesanti, e la separazione degli isotopi elettromagnetico, che ha usato un potente campo magnetico di fasci separati di uranio ioni in flussi differenti secondo la massa atomica.Queste tecniche sono state ampiamente abbandonate in favore della diffusione gassosa, e più recentemente, il processo di centrifugazione gassosa.
Diffusione gassosa:
La Diffusione gassosa fu il primo processo di arricchimento dell'uranio impiegato su larga scala nel settore del nucleare civile. E ' stato impiegato la prima volta presso l'impianto di Oak Ridge per il Progetto Manhattan durante la Seconda Guerra Mondiale, e fu poi utilizzato in un certo numero di nazioni di tutto il mondo per i loro programmi nucleari civili. In questo processo, l'uranio si combina con il fluoro in forma di esafluoruro di uranio (UH6) di gas e forzata attraverso membrane semipermeabili, producendo una leggera separazione di molecole che trasportano U-235 e U-238. Il processo si basa sulla legge di Graham, che descrive la tendenza di leggere le molecole di fuggire da un contenitore con un semi-permeabile parete della membrana più veloce di molecole più pesanti. Con l'ausilio di una cascata di molti stadi, qualsiasi grado dato di U-235 arricchimento può eventualmente essere raggiunto.
La Diffusione gassosa è un processo ad alta intensità energetica, che richiedono in ordine di 2.500 chilowattora per eseguire una SWU chilogrammo. Produrre LEU per il carburante LWR utilizzando diffusione gassosa richiede circa un quarantesimo del quantità di energia eventualmente ottenuti da esso. Il processo di diffusione gassosa attualmente si produce circa il 33% di uranio arricchito al mondo.
Centrifughe di processo gassoso:
Il processo di centrifuga a gas utilizza cilindri rotanti per concentrare l'isotopo più pesante intorno al cerchio e raccogliere l'U-235-ricchi porzione da vicino l'asse di rotazione. Questo processo è molto più efficiente il processo di anziani diffusione gassosa, che richiede un minimo di 2% della energia per svolgere il lavoro equivalente separativo. Un impianto di centrifuga gassoso può eseguire una SWU chilogrammo per circa 50-60 ore kilowatt. Impianti di centrifugazione gassosa attualmente producono circa il 54% di uranio arricchito al mondo.
Una centrifuga migliorato conosciuta come la centrifuga Zippe (dal nome di Gernot Zippe, lo scienziato tedesco il merito di sua invenzione), utilizza un gradiente di temperatura lungo tutta la lunghezza del cilindro per aumentare la separazione degli isotopi leggeri e pesanti. Questo tipo è stato utilizzato dalla Urenco ditta commerciale per l'arricchimento dell'uranio, ed è anche creduto di essere stato utilizzato da parte del Pakistan nel suo programma di armamento nucleare.
Arricchimento Laser:
Alcune tecniche laser di arricchimento sono state prese in considerazione. Quella attualmente riceve il maggior interesse è il processo SILEX, in piedi per la separazione degli isotopi di eccitazione laser. Il processo SILEX è di particolare interesse per l'Australia come CSIRO ha giocato un ruolo importante nel suo sviluppo. SILEX è attualmente in sviluppo presso GE Energy Hitachi nucleare in accordo con i sistemi Silex. Dettagli del processo e le prestazioni sono fortemente classificati, ma si dice che SILEX offre un ordine di grandezza migliori prestazioni sul processo di centrifugazione gassosa.
Due altre tecniche di arricchimento al laser sono state studiate.Queste sono AVLIS (atomica vapore Laser separazione degli isotopi) e MLIS (Molecolare Laser separazione isotopica). Queste tecniche hanno incontrato difficoltà tecniche che hanno chiuso i battenti più sforzi per svilupparle.
Altre Tecniche di arricchimento:
Qualche lavoro di sviluppo è stato fatto in altri processi, a volte raggiungendo la fase di impianto pilota, e in almeno un caso, piantare una scala operativa.Il più significativo di questi è stato probabilmente il processo di separazione Vortex Helikon sviluppato da società UCOR del Sud Africa. UCOR operated a plant in from the 1970s through to 1991 using this technology to produce LEU for civilian nuclear fuel and WGU for South Africa's nuclear weapons program.La UCOR ha gestito un impianto in dal 1970 fino al 1991 con questa tecnologia per la produzione di LEU per il settore civile del combustibile nucleare e WGU per il programma nucleare militare del Sud Africa . La tecnica consiste nel forzare un flusso di UH6 diluito con l'idrogeno. Il tubo funge così da centrifuga.Il processo utilizza grandi quantità di energia elettrica, ha esigenze di raffreddamento sostanziale, e quindi non è considerato economico per la produzione di combustibile del reattore. Nel corso della sua vita operativa la pianta si dice che abbia prodotto centinaia di chilogrammi di uranio altamente arricchito. Un processo alternativo aerodinamico è stato utilizzato in un impianto dimostrativo in Brasile che ha affrontato questioni simili alla pianta del Sud Africa, ed è stato chiuso.
Oltre a questi approcci aerodinamica, i processi di separazione chimica e dei processi di separazione a plasma sono stati provati. La maggior parte di questi sforzi sono stati ridimensionati, e nessuno al momento fornisce un contributo significativo alla capacità di arricchimento dell'uranio .
Proliferazione :
L'arricchimento dell'uranio è una delle fasi più delicate del ciclo del combustibile nucleare a causa della sua potenziale capacità di produrre uranio weapon-grade. L'uranio deve essere arricchito a oltre l'85% di U-235 prima che sia adatto per produzione di armi nucleari, ma è ancora lo stesso processo utilizzato per creare LEU per civile del combustibile nucleare, anche se portato a termine ad un livello molto più alto. La capacità di arricchimento è quindi considerato come una potenziale minaccia della proliferazione nucleare, ed è per questo programma iraniano di arricchimento dell'uranio ha ricevuto tanta attenzione scetticismo dalla comunità internazionale.
Anche se il futuro a lungo termine con la tecnologia nucleare è allevatore reattore, l'espansione principale in infrastrutture nucleari nei prossimi decenni sarà quasi certamente del tipo LWR, che richiedono un approvvigionamento affidabile di LEU per il carburante dei reattori sul mercato globale. Ci sono mosse preliminari in corso guidate dal l'Agenzia internazionale dell'energia atomica, in collaborazione con la Russia, gli Stati Uniti e gli altri a stabilire centri internazionali di arricchimento dell'uranio per la fornitura di LEU al mercato internazionale. Questo ha lo scopo di garantire l'approvvigionamento delle nazioni molti esprimono interesse a sviluppare i propri programmi di nucleare civile, diminuendo così la giustificazione per i nuovi giocatori di sviluppare le loro capacità nazionali di arricchimento dell'uranio. L'Australia potrebbe potenzialmente svolgere un ruolo in questo sistema di creazione di un centro internazionale di arricchimento qui, utilizzando la tecnologia centrifuga a gas o tecnologia SILEX, arricchendo l'uranio estratto a livello locale a livelli di LEU e fornendo a clienti che hanno aderito al programma. In questo modo, l'Australia potrebbe svolgere un ruolo importante nel limitare la diffusione di capacità di costruire armi nucleari in tutto il mondo in questa particolare fase storica dell'uso del nucleare.La realizzazione di un tale centro potrebbe anche assicurare l'Australia di offerta locale di carburante LEU per le nostre centrali nucleari proprio una volta che abbiamo stabilito la nostra industria nazionale energia nucleare.
Per ulteriori informazioni:
Maggiori dettagli in materia di arricchimento dell'uranio si possono trovare sui seguenti siti:
http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html http://www.fas.org/programs/ssp/nukes/effects/swu.html
http://www.world-nuclear.org/info/inf28.html http://www.world-nuclear.org/info/inf28.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Enriched_uranium http://en.wikipedia.org/wiki/Enriched_uranium
http://energyfromthorium.com/2010/08/06/loveswu1/ http://energyfromthorium.com/2010/08/06/loveswu1/
http://energyfromthorium.com/2010/08/07/loveswu2/ http://energyfromthorium.com/2010/08/07/loveswu2/
http://energyfromthorium.com/2010/08/09/loveswu3/ http://energyfromthorium.com/2010/08/09/loveswu3/
http://energyfromthorium.com/2010/08/15/loveswu4/ http://energyfromthorium.com/2010/08/15/loveswu4/
http://energyfromthorium.com/2010/08/24 ... -function/ http://energyfromthorium.com/2010/08/24 ... -function/
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Re: Energia Nucleare
Durante il primo semestre del 2010, sono avvenuti degli incontri internazionali, terminati in conseguenti accordi, tali da suscitare l’impressione che la questione della sicurezza nucleare nel mondo abbia intrapreso una nuova evoluzione, più favorevole alla pace. Nel mese di aprile è stato firmato il nuovo Trattato sulla Riduzione delle Armi offensive e strategiche, denominato START, tra Stati Uniti e Russia; successivamente, Obama ha annunciato la nuova dottrina nucleare statunitense con una riunione a Washington sulla sicurezza nucleare e così, a maggio, l’ONU, ha iniziato i suoi lavori di revisione del Trattato di non Proliferazione Nucleare, denominato TNP. Tuttavia, nonostante la firma di Medvedev e Obama a Praga abbia rappresentato un passo nella giusta direzione, le difficoltà per la conquista del disarmo nucleare ed il divieto della proliferazione atomica, continuano ad essere enormi.
L’accordo sul disarmo siglato lo scorso aprile a Praga da Washington e Mosca (il nuovo START, come è stato denominato), ha la medesima finalità del vecchio START-1 (firmato nel 1991 dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti, in vigore fino alla fine del 2009) e degli accordi sulla riduzione delle armi strategiche firmati dai due paesi nel 2002: sono tutte azioni che non superano il baratro del nucleare. Nonostante gli accordi che hanno limitato negli ultimi decenni il potere nucleare delle due grandi potenze, si stima che oggi esistano tra le 25 e le 27 mila testate nucleari (a seconda del modo in cui le si conta), di cui circa 12 mila sono tutt’ora attive, mentre le rimanenti sono nei silos e stipate nei magazzini. Non si ha nessuna intenzione di distruggere la maggior parte di queste armi, anzi, si pensa di riattivarne alcune perché possano essere nuovamente operative.
Secondo fonti militari russe, sulle armi offensive strategiche, nell’estate del 2009 quando sono state accelerate le trattative per concludere il nuovo START, gli Stati Uniti avevano 1.188 rampe di lancio e 5.916 testate nucleari, mentre la Russia aveva 809 rampe e 3.897 testate.
Da parte sua, la Federation of American Scientists (FAS) stimava, nell’aprile 2010, comprendendo nel calcolo tutte le armi nucleari comprese le bombe a corto e medio raggio, che la Russia possedesse 12.000 testate nucleari e gli Stati Uniti 9.400, mentre i restanti firmatari della TNP ne possedessero meno di 300 ciascuno (Francia 300; Cina 240, Gran Bretagna 185). La FAS stimava inoltre, che i paesi non aderenti alla TNP avessero complessivamente circa 240 testate nucleari (Israele 80; Pakistan tra 70 e 90 e India tra 60 e 80): diversi osservatori del fenomeno ritengono che la FAS esageri l’arsenale russo e tenga bassi i numeri degli statunitensi e degli israeliani.
Il nuovo START prevede che ogni potenza potrà possedere, al massimo, 1.550 bombe nucleari e 700 missili installati ed attivi, compresi quelli intercontinentali, sottomarini ed i bombardieri strategici. Inoltre, ciascuna potenza potrà possedere un certo numero di missili aggiuntivi, sempre che il totale non superi le 800 unità.
Anche se queste cifre sembrano indicare una svolta in materia di disarmo, il fatto è che la grande maggioranza delle bombe passano, semplicemente, nella lista di quelle conservate nei magazzini, così che la possibilità di distruzione reale risulti quasi irrilevante. Il nuovo accordo contempla anche le bombe atomiche considerate “tattiche”, progettate per il territorio europeo e con funzione strategica: tuttavia ci sono ancora più di 200 bombe nucleari statunitensi in questo continente. Questo significa che il nuovo START è un accordo mediocre.
Che tipo di armi ammette il nuovo START?
Le seguenti:
Missili balistici intercontinentali, denominati in inglese ICBM, aventi un raggio di azione superiore a 5.500 km: la distanza tra Russia e Stati Uniti.
Bombardieri strategici: aerei con autonomia di volo superiore a 8.000 km, dotati di missili a lunga gettata. Gli Stati Uniti hanno cercato di includere i bombardieri di fabbricazione sovietica TU-22M3, che hanno un’autonomia 7.000 km, adducendo limitazioni tecniche introdotte da Mosca in quegli aerei.
Missili balistici intercontinentali installati sui sommergibili, in inglese denominati SLBM, con un raggio superiore a 600 km. Stati Uniti ed Unione Sovietica nel 1991 avevano firmato un accordo per eliminare i missili da crociera, o tattici, dalle navi e dai sottomarini dei due paesi.
Esistono altri tipi di armi, tra cui i missili a lungo raggio (il BGM109 Tomahawk nordamericano e l’ S-10 Granat russo) e missili da crociera montati sulle navi, che Mosca intende includere nel concetto di armamento strategico, anche se Washington ha sempre rifiutato.
Gli analisti russi hanno fatto notare che, nel nuovo accordo, le piattaforme mobili che trasportano i missili strategici (come la Topol), non verranno limitate a specifiche aree. In linea di massima questo fa supporre che armi nucleari strategiche rimosse, possano essere attivate nuovamente e significa che entrambe le potenze sono in grado di mantenere i loro arsenali. Contemporaneamente è stato deciso che i missili strategici non possano essere distribuiti al di fuori del territorio nazionale di ciascuna potenza, decisione che è soggetta a controllo, anche se questo potrà presentare problemi di interpretazione per quel che riguarda navi, sottomarini e bombardieri; per tutto ciò il nuovo trattato START ha un protocollo allegato (si noti che il testo del trattato è di appena 12 pagine, mentre il protocollo ne ha 138), che stabilisce la metodologia, il linguaggio utilizzato e anche i meccanismi di verifica e di controllo per entrambe le parti e così non sorprende che molti problemi restino: sappiamo infatti che il diavolo è, di solito, nei dettagli. Infine, il nuovo accordo, non limita lo “scudo antimissile”, ma contempla una “relazione” tra armamenti offensivi e difensivi: questo crea un serio problema a Mosca, perché, nonostante l’annuncio propagandistico che dice che Washington starebbe per rinunciare al suo “scudo”, progettato da Bush in Polonia e nella Repubblica Ceca, la realtà è che il governo di Obama non si è pronunciato affatto in tal senso, ma ha deciso una “riformulazione” dello stesso. Proprio per questo Mosca si è inserita nel quadro dei negoziati del nuovo Trattato (con lo speciale protocollo allegato) riservandosi il diritto di recedere, se gli Stati Uniti sviluppassero un sistema di difesa missilistica che minacci la sicurezza e l’equilibrio strategico tra le due potenze.
La diffidenza di Mosca è giustificata, non solo per ragioni storiche. Appena dieci giorni dopo la firma dello START, il Tenente Generale Patrick O’Reilly, responsabile dell’Agenzia di Difesa Missilistica statunitense, ha dichiarato che il nuovo accordo con Mosca avrebbe permesso l’implementazione dello scudo missilistico in Europa e di quello nell’oceano pacifico; Bradley Roberts, sottosegretario aggiunto della Difesa, ha dichiarato che il nuovo “scudo antimissile” dovrebbe, rispetto al precedente più limitato, installato nella Repubblica Ceca ed in Polonia, coprire tutta l’Europa. I piani nordamericani, che contemplano la sua costruzione in circa otto anni, riflettono la falsa propaganda lanciata da tutti i media occidentali di qualche mese fa, sulla rinuncia di Obama allo scudo di difesa missilistica. Non c’è nessuna rinuncia, ma una nuova ridefinizione del profilo e degli obiettivi dello “scudo”. La prima fase dovrebbe essere completata entro la fine del 2011 (per allora il Pentagono dovrà decidere quale paese del sud Europa ospiterà il radar.)
Il trattato prevede la possibilità, per le due potenze, di sviluppare nuovi tipi di missili e sistemi di lancio, le cui installazioni potranno essere decise da ciascun paese (a terra, sulle navi e sottomarini o sui bombardieri strategici), con in più la possibilità di installazione sulle piattaforme mobili ferroviarie. Da segnalare anche che il limite stabilito di 1.550 bombe nucleari per ogni paese, non rivela che i bombardieri di fatto possono trasportare dai 10 ai 24 missili, a seconda del tipo di aeromobile, per cui il limite reale è quello di 2.100 bombe della Russia e 2.400 degli Stati Uniti. L’interesse degli Stati Uniti a continuare a mantenere ancora per qualche tempo i loro attuali bombardieri strategici nucleari, spiega questa decisione che è stata accettata da Mosca.
Molte questioni rimangono aperte per il futuro, dalla portata dei missili, ai nuovi “scudi” annunciati, così come la tentazione, sempre latente, di portare la corsa agli armamenti nello spazio, come dimostra il fatto che il governo degli Stati Uniti non si sia ancora rassegnato sulla questione e ancora rifiuti di negoziare un trattato in materia con Mosca e Pechino. La questione dei vettori è di grande importanza, l’accordo firmato prevede che ogni potenza potrà detenerne fino ad un centinaio in più rispetto al numero massimo consentito, anche se i criteri secondo cui è stabilita la soglia, non sono coincidenti tra le due potenze. Il giorno seguente la firma dello START a Praga, Viktor Yesin, ex capo di Stato Maggiore delle Truppe missilistiche strategiche russe, ha dichiarato che il suo paese non si porrà in competizione con gli Stati Uniti rispetto ai vettori di armi nucleari e ritiene che la soglia di dissuasione nucleare, si possa stabilire in un minimo di 500 vettori strategici e 1.550 bombe nucleari.
Se il nuovo START crea o suggerisce un nuovo scenario internazionale, due appuntamenti completano l’agenda del semestre: il vertice nucleare a Washington e la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), iniziato al palazzo dell’ONU a New York, ai primi di maggio. Il primo si è riunito a Washington, in un vertice sulla sicurezza nucleare convocato dal governo degli Stati Uniti, a cui hanno partecipato quasi cinquanta paesi (durante il quale gli Stati Uniti hanno cercato di isolare l’Iran) e che ha discusso sul contrabbando del materiale sensibile e la questione dell’ipotetico “terrorismo nucleare “ accordandosi per la fine del 2014 rispetto al controllo dell’uranio e del plutonio in tutto il mondo (Ucraina, Canada, Cile e Messico, per esempio, si sono impegnati a liquidare le scorte di uranio arricchito); dove si sono decisi i meccanismi di scambio di informazioni e i meccanismi di controllo da parte dell’Organismo Internazionale dell’Energia Atomica (OIEA), più alcuni altri accordi minori, tutto ciò senza prevedere gli obblighi dei paesi che hanno aderito alle convenzioni, lasciando così aperta l’interpretazione dei documenti approvati.
Secondo l’OIEA, esistono nel mondo 15 casi documentati di contrabbando di uranio arricchito e plutonio, di cui otto si sono verificati nell’instabile Georgia dell’avventuriero Mijail Saakashvili, che, curiosamente, al vertice si vantò dell’ultimo caso scoperto dalla polizia georgiana: il sequestro di alcuni grammi di uranio arricchito che stava per essere venduto, anche se va fatto notare che per costruire una bomba nucleare sono necessari centinaia di chili di uranio, a seconda del grado di arricchimento.La dichiarazione finale del vertice è stata più una simbolica dichiarazione di intenti, che un documento vincolante tra i paesi partecipanti.
Per quanto riguarda la revisione del TNP (che hanno ad oggi firmato 189 paesi), l’ottava conferenza a New York (il trattato istitutivo è del 1968 e la precedente conferenza si è tenuta nel 2005) ha affrontato il problema del possibile apparire sulla scena di nuove potenze nucleari, in un clima di impotenza sui problemi da affrontare. I risultati della conferenza, che si è conclusa a fine maggio, sono stati raccolti in una dichiarazione e sono modesti, deludenti, anche se questo non dovrebbe essere motivo di scoraggiamento. I rappresentanti del Movimento dei Paesi Non Allineati sono stati insoddisfatti per la distanza tra “la retorica di alcuni paesi con armi nucleari e gli impegni che questi sono disposti ad assumere”. Il riferimento agli Stati Uniti è lampante. Durante i lavori della conferenza si è arrivati a proporre una data, il 2025 (che Washington ha contestato), come obiettivo da conseguire per la totale eliminazione delle armi nucleari, ma non sono stati fissati termini specifici ed intermedi per il disarmo nucleare parziale, né si è concordato un patto per bloccare lo sviluppo ed il perfezionamento degli armamenti, così come non è stato concordato nulla rispetto al ritiro di testate nucleari dispiegate in altri territori da parte delle potenze nucleari (iniziativa che riguarda gli Stati Uniti, dal momento che né la Russia né la Cina hanno armi nucleari schierate al di fuori del loro territorio), né è stato raggiunto un compromesso che andasse verso un trattato per la sicurezza per i paesi non nucleari di non essere attaccati o minacciati di tali armi da parte delle potenze nucleari e neanche è stato adottato l’impegno ad aprire trattative per la formulazione di una Convenzione sulle Armi Nucleari. Al contrario, la riunione di New York ha approvato una dichiarazione per convocare una Conferenza sul Disarmo Nucleare in Medio Oriente nel 2012, con l’obiettivo di trasformare l’area in un territorio privo di armi nucleari. Gli Stati Uniti avevano bloccato per anni questa possibilità e questa proposta ha segnato il malaugurato destino della precedente revisione del TNP nel 2005: Washington ha ora accettato, pur deplorando il fatto che la dichiarazione nominasse Israele (come se ci fosse altra potenza nucleare in Medio Oriente al di fuori di Israele!). Non sarà un compito facile: il governo di Tel-Aviv, che non ha firmato il TNP, si è affrettato a respingere duramente il documento.
Delle potenze che sono state inserite nel gruppo atomico, nessuna ha firmato il TNP. Sono tre: Israele, che non ammette di possedere ordigni nucleari; l’India, con cui gli USA hanno firmato un accordo nucleare, nonostante il trattato; il Pakistan. Tra i paesi che sono al lavoro per conseguire la bomba, la situazione è molto diversa. E’ ben noto che gli Stati Uniti discutono da tempo dell’esistenza di un programma nucleare iraniano e della pericolosa situazione nelle penisola coreana, dove le manovre statunitensi per infastidire Pyongyang, rifiutandosi di firmare il trattato di non aggressione, hanno avuto come conseguenza indesiderata di stimolare la ricerca di armamento atomico da parte della Corea del Nord. Inoltre, i recenti documenti declassificati hanno rivelato che il Sudafrica razzista promosse un programma (con l’aiuto di Israele) per dotarsi di armi atomiche, programma che è stato cancellato e che ha reso possibile l’adesione del paese al TNP. Inoltre, si è speculato sulle ambizioni nucleari della Siria, della Libia, dell’Iraq di Saddam Hussein, compresa Taiwan, ma ovunque i neonati programmi sono stati interrotti o, semplicemente, non esistevano. Si tratta di una questione molto delicata. Si ricordi che Israele ha lanciato attacchi, in due occasioni, contro Iraq e Siria, accusate, senza prove, di avere la bomba nucleare e che i loro piani per attaccare l’Iran, nonostante il segreto di Tel Aviv, non sono speculazioni di analisti militari, ma una decisione definitiva dello Stato ebraico che aspetta solo il momento giusto per lanciarlo. Comunque, il problema principale è che non ci può essere progresso nella politica di non proliferazione, se questa non è accompagnata da un reale progresso nel disarmo atomico delle grandi potenze nucleari. Siamo tenuti a non dimenticare che dobbiamo ancora affrontare la questione dei negoziati del Trattato per la Proibizione Totale della Sperimentazione Nucleare, un tema che Washington ha ripetutamente rifiutato di affrontare.
Curiosamente, nelle settimane un cui venivano adottate alcune restrizioni sull’uso delle armi nucleari, il governo statunitense rendeva pubblico nel mese di aprile su Nuclear Posture Review Report, di seguire, sostanzialmente, il trend della precedente relazione. Di fatto gli Stati Uniti non hanno rinunciato all’uso di armi atomiche neanche contro paesi non-nucleari, ma la dottrina nucleare approvata con Obama, sostiene che il paese non attaccherà con armi nucleari i paesi che non le hanno o stanno “adempiendo ai loro obblighi di non proliferazione nucleare”, il che, secondo il governo degli Stati Uniti, esclude la Corea del Nord e l’Iran e che quindi, possono essere attaccati dagli Stati Uniti. Washington rinuncia a rispondere con armi nucleari o biochimiche ad un attacco con armi convenzionali. Nonostante la modestia dei cambiamenti, Obama afferma di aver rotto con “l’ambiguità calcolata” della precedente amministrazione Bush, sull’utilizzo delle armi nucleari. Il presidente degli Stati Uniti ha proclamato nel summit di aprile sul nucleare a Washington, che un’organizzazione come Al Qaeda potesse sferrare un attacco nucleare rappresentava una grave minaccia per il suo paese: ma questa ipotesi è una sciocchezza, un elemento propagandistico all’interno del tavolo della complessa negoziazione nucleare, che va dietro al tono allarmistico con cui Bush ha ricattato i suoi alleati europei all’inizio delle sue guerre di aggressione in Medio Oriente. Il “terrorismo nucleare” si è così piazzato al centro delle preoccupazioni e delle informazioni dei giornali e, contemporaneamente, Obama ha posto l’accento sul pericolo rappresentato dall’Iran, cercando di trovare alleati per il programma ostile attuato nei confronti di Teheran, frenato fino ad oggi da Pechino e Mosca.
Ricapitolando. Qualunque progresso verso un disarmo atomico è sempre motivo di plauso, ma non dimentichiamo che gli Stati Uniti non hanno rinunciato alla loro ambizione di diventare la potenza dominante del mondo grazie, tra l’altro, ai loro arsenali nucleari e che il disarmo non ha raggiunto la consistenza, l’intensità e la velocità che il mondo necessita. Gli Stati Uniti hanno mantenuto più di 200 testate nucleari in Europa (in Italia, Germania, Olanda, Belgio), che vanno aggiunte a quelle disseminate in Turchia, mentre la Russia non ha una distribuzione equivalente. Mosca ha chiesto la loro rimozione e demolizione, ma Washington si rifiuta ancora di farlo. Inoltre, la NATO continua a basare la propria dottrina di sicurezza in Europa e nel mondo sulle armi nucleari, il che pone seri problemi concettuali. Senza perdere di vista che le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, che continuano nove e sette anni dopo, senza che Obama mostri alcun segno di porre fine all’aggressione, hanno portato paesi come l’Iran e la Corea del Nord a trarre le opportune conclusioni, conclusioni che suonano a favore del dotarsi di armi nucleari contro l’aggressività degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti avevano previsto la riduzione e la modernizzare dei loro arsenali nucleari e le difficoltà economiche che sarebbero pesate sulla loro nuova strategia, tanto da influenzare anche la visione di Mosca; vanno inoltre evidenziati gli eventuali costi di manutenzione e messa a punto delle scorte detenute dai nove paesi nucleari, che ammontano a circa settanta miliardi di euro l’anno (70.000.000.000!) e di cui una consistente parte è degli Stati Uniti e della Russia, che hanno il 95% delle armi nucleari esistenti. Il famoso “riavvio” delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, offerto da Hillary Clinton a Mosca con il gesto di premere su un simbolico pulsante, sembra lontano dall’essere realizzato, al di là della retorica, della propaganda e della firma del nuovo START.
Infatti, anche se più moderato nelle forme e nel linguaggio, Obama continua a giocare con il fuoco di Bush: continua la guerra in Iraq e in Afghanistan, non è disposto a discutere la proposta russa di firmare l’Accordo di Sicurezza in Europa, perché proprio qui persegue la rottura dell’equilibrio militare attraverso la riduzione degli armamenti nuceleari strategici... che richiederebbe compensazioni russe in altri tipi di armi, che inevitabilmente comporterebbe l’egemonia militare della NATO (e quindi degli Stati Uniti) in armi convenzionali ai confini occidentali della Russia.
Mentre, nella crisi iraniana, il governo americano ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la valutazione di nuove sanzioni contro Teheran… senza considerare di accettare la proposta turco-brasiliana, mentre la segretaria di Stato, Clinton, si dirigeva al Congresso nordamericano per riesaminare il nuovo START... annunciando per prima i presunti accordi con Pechino e Mosca in merito all’adozione di nuove sanzioni all’Iran. E tutto questo senza che il governo degli Stati Uniti riconosca la minaccia nucleare rappresentata da Israele, da cui deriva l’aggressività guerrafondaia che potrebbe infiammare il Medio Oriente e aprire una crisi globale dalle conseguenze imprevedibili, ed il cui governo insiste, anche pubblicamente, sull’opportunità di attaccare l’Iran senza la diplomazia di Washington. Pertanto, le priorità della politica estera americana sembrano essere chiare, anche se rappresentano un’apparente contraddizione con la più realistica dottrina della sicurezza nazionale di Obama, rispetto a quella criminale scaturita da Bush.
A fine maggio, Obama ha presentato al Congresso la nuova dottrina sulla sicurezza nazionale, ponendo fine al concetto pericolosamente fascista di “guerra preventiva” affermato da George W. Bush; riconoscendo la nuova geometria strategica del mondo e accettando che, oltre a Mosca, altre potenze assumessero un innegabile protagonismo: Pechino e Delhi, ma anche Brasilia.
Dal seppellimento del G-8, il cui posto è stato preso dal G-20, riconoscendo così la limitazione del potere statunitense, e dalla ridefinizione del terrorismo e l’accettazione del ruolo delle Nazioni Unite (senza che ciò significhi per gli Stati Uniti un assoggettamento al Consiglio di Sicurezza), non scaturisce la rinuncia alla guerra in virtù della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mantenendola come la “risorsa” dell’ultimo momento e riservandosi il diritto di “atto unilaterale” per difendere i propri interessi. Nota a margine: Obama, è ora il presidente che ha approvato il più grande bilancio militare nella storia degli USA.
Inoltre, la ratifica finale del nuovo START può essere soggetta a scossoni provenienti dal Senato statunitense e dai i settori più estremisti di Washington, da elementi del Pentagono, dal partito repubblicano e perfino dal Dipartimento di Stato. Mosca diffida: il presidente Medvedev ha insistito sull’opportunità dei parlamentari russi e americani di ratificare in modo coordinato l’accordo START alla luce del fatto che, secondo le sue parole, “Mosca è stata ingannata nel passato” con la ratifica degli accordi sul disarmo. Senza dubbio, nella dichiarazione del presidente russo pesa il ricordo dello START-2, firmato nel 1993, ma che non arrivò mai oltre la fase di ratifica, oltre alla gravissima violazione unilaterale degli Stati Uniti nel 2001, il Trattato anti missili balistici (ABM), ed inoltre, la persistente minaccia costituita dalla NATO ai confini della Russia, senza, per ora, che Washington abbia rinunciato a divorare insieme Ucraina e Georgia. Mosca non dimentica che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli USA hanno inventato (e usato!) le bombe nucleari e poi gradualmente introdotto nuovi sistemi di armi offensive, dai missili intercontinentali utilizzati dalle navi e dai sottomarini, ai bombardieri, per mantenere il loro dominio atomico. L’Unione Sovietica ha adottato questo tipo di armi, ma sempre in risposta alle ambizioni americane: Mosca non si affrettò nella corsa al nucleare.
Alcune decisioni nordamericane preannunciano, d’altra parte, un futuro inquietante, che potrebbe mettere a repentaglio il disarmo nucleare. Alla fine di maggio 2010, gli Stati Uniti hanno schierato una batteria di missili Patriot in Polonia, nella base militare di Morag vicina al confine russo. Questa base diverrà permanente dal 2012 e sarà dotata di missili SM-3, un tipo di armi progettate per distruggere i missili balistici russi (che cosa potrebbero essere, altrimenti?). Come ci si aspettava, questa azione ha portato il ministro degli Esteri russo Serguei Lavrov a chiedere a Washington “spiegazioni plausibili” sui dispiegamenti, mentre la parte polacca andava in fibrillazione rifiutandosi di dare “spiegazioni”, come se iniziative aggressive militari non avessero avuto ripercussioni ed effetti sul paese, come se vestendo il manto della propria sovranità potesse prendere qualsiasi decisione senza calcolarne le conseguenze. Questo passo dimostra che, nonostante l’interesse della stampa occidentale, Obama non ha rinunciato alla “scudo spaziale” di Bush, ma lo ha ridefinito; ha si rinunciato ai previsti insediamenti in Polonia e nella Repubblica Ceca, ma ha previsto l’installazione di un altro “scudo” in Polonia, Romania e Bulgaria. Conta di installare in questi paesi sistemi di missili Aegis, missili intercettori SM-3 (i cui diversi blocchi saranno installati in Europa orientale, come previsto, nel 2011, con una seconda fase tra il 2015 e il 2018 e il suo culmine nel 2020) il cui evidente scopo è quello di essere pronti a distruggere i missili a corto e medio raggio e, infine, anche a lungo raggio, così come missili balistici intercontinentali: uno scudo che punta alla potenza nucleare russa, qualcosa che finalmente realizzato distruggerà completamente l’attuale equilibrio nucleare tra Washington e Mosca, costringendo la Russia a rispondere con altre misure. Il futuro è ancora pieno di pericoli nucleari.
L’accordo sul disarmo siglato lo scorso aprile a Praga da Washington e Mosca (il nuovo START, come è stato denominato), ha la medesima finalità del vecchio START-1 (firmato nel 1991 dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti, in vigore fino alla fine del 2009) e degli accordi sulla riduzione delle armi strategiche firmati dai due paesi nel 2002: sono tutte azioni che non superano il baratro del nucleare. Nonostante gli accordi che hanno limitato negli ultimi decenni il potere nucleare delle due grandi potenze, si stima che oggi esistano tra le 25 e le 27 mila testate nucleari (a seconda del modo in cui le si conta), di cui circa 12 mila sono tutt’ora attive, mentre le rimanenti sono nei silos e stipate nei magazzini. Non si ha nessuna intenzione di distruggere la maggior parte di queste armi, anzi, si pensa di riattivarne alcune perché possano essere nuovamente operative.
Secondo fonti militari russe, sulle armi offensive strategiche, nell’estate del 2009 quando sono state accelerate le trattative per concludere il nuovo START, gli Stati Uniti avevano 1.188 rampe di lancio e 5.916 testate nucleari, mentre la Russia aveva 809 rampe e 3.897 testate.
Da parte sua, la Federation of American Scientists (FAS) stimava, nell’aprile 2010, comprendendo nel calcolo tutte le armi nucleari comprese le bombe a corto e medio raggio, che la Russia possedesse 12.000 testate nucleari e gli Stati Uniti 9.400, mentre i restanti firmatari della TNP ne possedessero meno di 300 ciascuno (Francia 300; Cina 240, Gran Bretagna 185). La FAS stimava inoltre, che i paesi non aderenti alla TNP avessero complessivamente circa 240 testate nucleari (Israele 80; Pakistan tra 70 e 90 e India tra 60 e 80): diversi osservatori del fenomeno ritengono che la FAS esageri l’arsenale russo e tenga bassi i numeri degli statunitensi e degli israeliani.
Il nuovo START prevede che ogni potenza potrà possedere, al massimo, 1.550 bombe nucleari e 700 missili installati ed attivi, compresi quelli intercontinentali, sottomarini ed i bombardieri strategici. Inoltre, ciascuna potenza potrà possedere un certo numero di missili aggiuntivi, sempre che il totale non superi le 800 unità.
Anche se queste cifre sembrano indicare una svolta in materia di disarmo, il fatto è che la grande maggioranza delle bombe passano, semplicemente, nella lista di quelle conservate nei magazzini, così che la possibilità di distruzione reale risulti quasi irrilevante. Il nuovo accordo contempla anche le bombe atomiche considerate “tattiche”, progettate per il territorio europeo e con funzione strategica: tuttavia ci sono ancora più di 200 bombe nucleari statunitensi in questo continente. Questo significa che il nuovo START è un accordo mediocre.
Che tipo di armi ammette il nuovo START?
Le seguenti:
Missili balistici intercontinentali, denominati in inglese ICBM, aventi un raggio di azione superiore a 5.500 km: la distanza tra Russia e Stati Uniti.
Bombardieri strategici: aerei con autonomia di volo superiore a 8.000 km, dotati di missili a lunga gettata. Gli Stati Uniti hanno cercato di includere i bombardieri di fabbricazione sovietica TU-22M3, che hanno un’autonomia 7.000 km, adducendo limitazioni tecniche introdotte da Mosca in quegli aerei.
Missili balistici intercontinentali installati sui sommergibili, in inglese denominati SLBM, con un raggio superiore a 600 km. Stati Uniti ed Unione Sovietica nel 1991 avevano firmato un accordo per eliminare i missili da crociera, o tattici, dalle navi e dai sottomarini dei due paesi.
Esistono altri tipi di armi, tra cui i missili a lungo raggio (il BGM109 Tomahawk nordamericano e l’ S-10 Granat russo) e missili da crociera montati sulle navi, che Mosca intende includere nel concetto di armamento strategico, anche se Washington ha sempre rifiutato.
Gli analisti russi hanno fatto notare che, nel nuovo accordo, le piattaforme mobili che trasportano i missili strategici (come la Topol), non verranno limitate a specifiche aree. In linea di massima questo fa supporre che armi nucleari strategiche rimosse, possano essere attivate nuovamente e significa che entrambe le potenze sono in grado di mantenere i loro arsenali. Contemporaneamente è stato deciso che i missili strategici non possano essere distribuiti al di fuori del territorio nazionale di ciascuna potenza, decisione che è soggetta a controllo, anche se questo potrà presentare problemi di interpretazione per quel che riguarda navi, sottomarini e bombardieri; per tutto ciò il nuovo trattato START ha un protocollo allegato (si noti che il testo del trattato è di appena 12 pagine, mentre il protocollo ne ha 138), che stabilisce la metodologia, il linguaggio utilizzato e anche i meccanismi di verifica e di controllo per entrambe le parti e così non sorprende che molti problemi restino: sappiamo infatti che il diavolo è, di solito, nei dettagli. Infine, il nuovo accordo, non limita lo “scudo antimissile”, ma contempla una “relazione” tra armamenti offensivi e difensivi: questo crea un serio problema a Mosca, perché, nonostante l’annuncio propagandistico che dice che Washington starebbe per rinunciare al suo “scudo”, progettato da Bush in Polonia e nella Repubblica Ceca, la realtà è che il governo di Obama non si è pronunciato affatto in tal senso, ma ha deciso una “riformulazione” dello stesso. Proprio per questo Mosca si è inserita nel quadro dei negoziati del nuovo Trattato (con lo speciale protocollo allegato) riservandosi il diritto di recedere, se gli Stati Uniti sviluppassero un sistema di difesa missilistica che minacci la sicurezza e l’equilibrio strategico tra le due potenze.
La diffidenza di Mosca è giustificata, non solo per ragioni storiche. Appena dieci giorni dopo la firma dello START, il Tenente Generale Patrick O’Reilly, responsabile dell’Agenzia di Difesa Missilistica statunitense, ha dichiarato che il nuovo accordo con Mosca avrebbe permesso l’implementazione dello scudo missilistico in Europa e di quello nell’oceano pacifico; Bradley Roberts, sottosegretario aggiunto della Difesa, ha dichiarato che il nuovo “scudo antimissile” dovrebbe, rispetto al precedente più limitato, installato nella Repubblica Ceca ed in Polonia, coprire tutta l’Europa. I piani nordamericani, che contemplano la sua costruzione in circa otto anni, riflettono la falsa propaganda lanciata da tutti i media occidentali di qualche mese fa, sulla rinuncia di Obama allo scudo di difesa missilistica. Non c’è nessuna rinuncia, ma una nuova ridefinizione del profilo e degli obiettivi dello “scudo”. La prima fase dovrebbe essere completata entro la fine del 2011 (per allora il Pentagono dovrà decidere quale paese del sud Europa ospiterà il radar.)
Il trattato prevede la possibilità, per le due potenze, di sviluppare nuovi tipi di missili e sistemi di lancio, le cui installazioni potranno essere decise da ciascun paese (a terra, sulle navi e sottomarini o sui bombardieri strategici), con in più la possibilità di installazione sulle piattaforme mobili ferroviarie. Da segnalare anche che il limite stabilito di 1.550 bombe nucleari per ogni paese, non rivela che i bombardieri di fatto possono trasportare dai 10 ai 24 missili, a seconda del tipo di aeromobile, per cui il limite reale è quello di 2.100 bombe della Russia e 2.400 degli Stati Uniti. L’interesse degli Stati Uniti a continuare a mantenere ancora per qualche tempo i loro attuali bombardieri strategici nucleari, spiega questa decisione che è stata accettata da Mosca.
Molte questioni rimangono aperte per il futuro, dalla portata dei missili, ai nuovi “scudi” annunciati, così come la tentazione, sempre latente, di portare la corsa agli armamenti nello spazio, come dimostra il fatto che il governo degli Stati Uniti non si sia ancora rassegnato sulla questione e ancora rifiuti di negoziare un trattato in materia con Mosca e Pechino. La questione dei vettori è di grande importanza, l’accordo firmato prevede che ogni potenza potrà detenerne fino ad un centinaio in più rispetto al numero massimo consentito, anche se i criteri secondo cui è stabilita la soglia, non sono coincidenti tra le due potenze. Il giorno seguente la firma dello START a Praga, Viktor Yesin, ex capo di Stato Maggiore delle Truppe missilistiche strategiche russe, ha dichiarato che il suo paese non si porrà in competizione con gli Stati Uniti rispetto ai vettori di armi nucleari e ritiene che la soglia di dissuasione nucleare, si possa stabilire in un minimo di 500 vettori strategici e 1.550 bombe nucleari.
Se il nuovo START crea o suggerisce un nuovo scenario internazionale, due appuntamenti completano l’agenda del semestre: il vertice nucleare a Washington e la conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), iniziato al palazzo dell’ONU a New York, ai primi di maggio. Il primo si è riunito a Washington, in un vertice sulla sicurezza nucleare convocato dal governo degli Stati Uniti, a cui hanno partecipato quasi cinquanta paesi (durante il quale gli Stati Uniti hanno cercato di isolare l’Iran) e che ha discusso sul contrabbando del materiale sensibile e la questione dell’ipotetico “terrorismo nucleare “ accordandosi per la fine del 2014 rispetto al controllo dell’uranio e del plutonio in tutto il mondo (Ucraina, Canada, Cile e Messico, per esempio, si sono impegnati a liquidare le scorte di uranio arricchito); dove si sono decisi i meccanismi di scambio di informazioni e i meccanismi di controllo da parte dell’Organismo Internazionale dell’Energia Atomica (OIEA), più alcuni altri accordi minori, tutto ciò senza prevedere gli obblighi dei paesi che hanno aderito alle convenzioni, lasciando così aperta l’interpretazione dei documenti approvati.
Secondo l’OIEA, esistono nel mondo 15 casi documentati di contrabbando di uranio arricchito e plutonio, di cui otto si sono verificati nell’instabile Georgia dell’avventuriero Mijail Saakashvili, che, curiosamente, al vertice si vantò dell’ultimo caso scoperto dalla polizia georgiana: il sequestro di alcuni grammi di uranio arricchito che stava per essere venduto, anche se va fatto notare che per costruire una bomba nucleare sono necessari centinaia di chili di uranio, a seconda del grado di arricchimento.La dichiarazione finale del vertice è stata più una simbolica dichiarazione di intenti, che un documento vincolante tra i paesi partecipanti.
Per quanto riguarda la revisione del TNP (che hanno ad oggi firmato 189 paesi), l’ottava conferenza a New York (il trattato istitutivo è del 1968 e la precedente conferenza si è tenuta nel 2005) ha affrontato il problema del possibile apparire sulla scena di nuove potenze nucleari, in un clima di impotenza sui problemi da affrontare. I risultati della conferenza, che si è conclusa a fine maggio, sono stati raccolti in una dichiarazione e sono modesti, deludenti, anche se questo non dovrebbe essere motivo di scoraggiamento. I rappresentanti del Movimento dei Paesi Non Allineati sono stati insoddisfatti per la distanza tra “la retorica di alcuni paesi con armi nucleari e gli impegni che questi sono disposti ad assumere”. Il riferimento agli Stati Uniti è lampante. Durante i lavori della conferenza si è arrivati a proporre una data, il 2025 (che Washington ha contestato), come obiettivo da conseguire per la totale eliminazione delle armi nucleari, ma non sono stati fissati termini specifici ed intermedi per il disarmo nucleare parziale, né si è concordato un patto per bloccare lo sviluppo ed il perfezionamento degli armamenti, così come non è stato concordato nulla rispetto al ritiro di testate nucleari dispiegate in altri territori da parte delle potenze nucleari (iniziativa che riguarda gli Stati Uniti, dal momento che né la Russia né la Cina hanno armi nucleari schierate al di fuori del loro territorio), né è stato raggiunto un compromesso che andasse verso un trattato per la sicurezza per i paesi non nucleari di non essere attaccati o minacciati di tali armi da parte delle potenze nucleari e neanche è stato adottato l’impegno ad aprire trattative per la formulazione di una Convenzione sulle Armi Nucleari. Al contrario, la riunione di New York ha approvato una dichiarazione per convocare una Conferenza sul Disarmo Nucleare in Medio Oriente nel 2012, con l’obiettivo di trasformare l’area in un territorio privo di armi nucleari. Gli Stati Uniti avevano bloccato per anni questa possibilità e questa proposta ha segnato il malaugurato destino della precedente revisione del TNP nel 2005: Washington ha ora accettato, pur deplorando il fatto che la dichiarazione nominasse Israele (come se ci fosse altra potenza nucleare in Medio Oriente al di fuori di Israele!). Non sarà un compito facile: il governo di Tel-Aviv, che non ha firmato il TNP, si è affrettato a respingere duramente il documento.
Delle potenze che sono state inserite nel gruppo atomico, nessuna ha firmato il TNP. Sono tre: Israele, che non ammette di possedere ordigni nucleari; l’India, con cui gli USA hanno firmato un accordo nucleare, nonostante il trattato; il Pakistan. Tra i paesi che sono al lavoro per conseguire la bomba, la situazione è molto diversa. E’ ben noto che gli Stati Uniti discutono da tempo dell’esistenza di un programma nucleare iraniano e della pericolosa situazione nelle penisola coreana, dove le manovre statunitensi per infastidire Pyongyang, rifiutandosi di firmare il trattato di non aggressione, hanno avuto come conseguenza indesiderata di stimolare la ricerca di armamento atomico da parte della Corea del Nord. Inoltre, i recenti documenti declassificati hanno rivelato che il Sudafrica razzista promosse un programma (con l’aiuto di Israele) per dotarsi di armi atomiche, programma che è stato cancellato e che ha reso possibile l’adesione del paese al TNP. Inoltre, si è speculato sulle ambizioni nucleari della Siria, della Libia, dell’Iraq di Saddam Hussein, compresa Taiwan, ma ovunque i neonati programmi sono stati interrotti o, semplicemente, non esistevano. Si tratta di una questione molto delicata. Si ricordi che Israele ha lanciato attacchi, in due occasioni, contro Iraq e Siria, accusate, senza prove, di avere la bomba nucleare e che i loro piani per attaccare l’Iran, nonostante il segreto di Tel Aviv, non sono speculazioni di analisti militari, ma una decisione definitiva dello Stato ebraico che aspetta solo il momento giusto per lanciarlo. Comunque, il problema principale è che non ci può essere progresso nella politica di non proliferazione, se questa non è accompagnata da un reale progresso nel disarmo atomico delle grandi potenze nucleari. Siamo tenuti a non dimenticare che dobbiamo ancora affrontare la questione dei negoziati del Trattato per la Proibizione Totale della Sperimentazione Nucleare, un tema che Washington ha ripetutamente rifiutato di affrontare.
Curiosamente, nelle settimane un cui venivano adottate alcune restrizioni sull’uso delle armi nucleari, il governo statunitense rendeva pubblico nel mese di aprile su Nuclear Posture Review Report, di seguire, sostanzialmente, il trend della precedente relazione. Di fatto gli Stati Uniti non hanno rinunciato all’uso di armi atomiche neanche contro paesi non-nucleari, ma la dottrina nucleare approvata con Obama, sostiene che il paese non attaccherà con armi nucleari i paesi che non le hanno o stanno “adempiendo ai loro obblighi di non proliferazione nucleare”, il che, secondo il governo degli Stati Uniti, esclude la Corea del Nord e l’Iran e che quindi, possono essere attaccati dagli Stati Uniti. Washington rinuncia a rispondere con armi nucleari o biochimiche ad un attacco con armi convenzionali. Nonostante la modestia dei cambiamenti, Obama afferma di aver rotto con “l’ambiguità calcolata” della precedente amministrazione Bush, sull’utilizzo delle armi nucleari. Il presidente degli Stati Uniti ha proclamato nel summit di aprile sul nucleare a Washington, che un’organizzazione come Al Qaeda potesse sferrare un attacco nucleare rappresentava una grave minaccia per il suo paese: ma questa ipotesi è una sciocchezza, un elemento propagandistico all’interno del tavolo della complessa negoziazione nucleare, che va dietro al tono allarmistico con cui Bush ha ricattato i suoi alleati europei all’inizio delle sue guerre di aggressione in Medio Oriente. Il “terrorismo nucleare” si è così piazzato al centro delle preoccupazioni e delle informazioni dei giornali e, contemporaneamente, Obama ha posto l’accento sul pericolo rappresentato dall’Iran, cercando di trovare alleati per il programma ostile attuato nei confronti di Teheran, frenato fino ad oggi da Pechino e Mosca.
Ricapitolando. Qualunque progresso verso un disarmo atomico è sempre motivo di plauso, ma non dimentichiamo che gli Stati Uniti non hanno rinunciato alla loro ambizione di diventare la potenza dominante del mondo grazie, tra l’altro, ai loro arsenali nucleari e che il disarmo non ha raggiunto la consistenza, l’intensità e la velocità che il mondo necessita. Gli Stati Uniti hanno mantenuto più di 200 testate nucleari in Europa (in Italia, Germania, Olanda, Belgio), che vanno aggiunte a quelle disseminate in Turchia, mentre la Russia non ha una distribuzione equivalente. Mosca ha chiesto la loro rimozione e demolizione, ma Washington si rifiuta ancora di farlo. Inoltre, la NATO continua a basare la propria dottrina di sicurezza in Europa e nel mondo sulle armi nucleari, il che pone seri problemi concettuali. Senza perdere di vista che le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, che continuano nove e sette anni dopo, senza che Obama mostri alcun segno di porre fine all’aggressione, hanno portato paesi come l’Iran e la Corea del Nord a trarre le opportune conclusioni, conclusioni che suonano a favore del dotarsi di armi nucleari contro l’aggressività degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti avevano previsto la riduzione e la modernizzare dei loro arsenali nucleari e le difficoltà economiche che sarebbero pesate sulla loro nuova strategia, tanto da influenzare anche la visione di Mosca; vanno inoltre evidenziati gli eventuali costi di manutenzione e messa a punto delle scorte detenute dai nove paesi nucleari, che ammontano a circa settanta miliardi di euro l’anno (70.000.000.000!) e di cui una consistente parte è degli Stati Uniti e della Russia, che hanno il 95% delle armi nucleari esistenti. Il famoso “riavvio” delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, offerto da Hillary Clinton a Mosca con il gesto di premere su un simbolico pulsante, sembra lontano dall’essere realizzato, al di là della retorica, della propaganda e della firma del nuovo START.
Infatti, anche se più moderato nelle forme e nel linguaggio, Obama continua a giocare con il fuoco di Bush: continua la guerra in Iraq e in Afghanistan, non è disposto a discutere la proposta russa di firmare l’Accordo di Sicurezza in Europa, perché proprio qui persegue la rottura dell’equilibrio militare attraverso la riduzione degli armamenti nuceleari strategici... che richiederebbe compensazioni russe in altri tipi di armi, che inevitabilmente comporterebbe l’egemonia militare della NATO (e quindi degli Stati Uniti) in armi convenzionali ai confini occidentali della Russia.
Mentre, nella crisi iraniana, il governo americano ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la valutazione di nuove sanzioni contro Teheran… senza considerare di accettare la proposta turco-brasiliana, mentre la segretaria di Stato, Clinton, si dirigeva al Congresso nordamericano per riesaminare il nuovo START... annunciando per prima i presunti accordi con Pechino e Mosca in merito all’adozione di nuove sanzioni all’Iran. E tutto questo senza che il governo degli Stati Uniti riconosca la minaccia nucleare rappresentata da Israele, da cui deriva l’aggressività guerrafondaia che potrebbe infiammare il Medio Oriente e aprire una crisi globale dalle conseguenze imprevedibili, ed il cui governo insiste, anche pubblicamente, sull’opportunità di attaccare l’Iran senza la diplomazia di Washington. Pertanto, le priorità della politica estera americana sembrano essere chiare, anche se rappresentano un’apparente contraddizione con la più realistica dottrina della sicurezza nazionale di Obama, rispetto a quella criminale scaturita da Bush.
A fine maggio, Obama ha presentato al Congresso la nuova dottrina sulla sicurezza nazionale, ponendo fine al concetto pericolosamente fascista di “guerra preventiva” affermato da George W. Bush; riconoscendo la nuova geometria strategica del mondo e accettando che, oltre a Mosca, altre potenze assumessero un innegabile protagonismo: Pechino e Delhi, ma anche Brasilia.
Dal seppellimento del G-8, il cui posto è stato preso dal G-20, riconoscendo così la limitazione del potere statunitense, e dalla ridefinizione del terrorismo e l’accettazione del ruolo delle Nazioni Unite (senza che ciò significhi per gli Stati Uniti un assoggettamento al Consiglio di Sicurezza), non scaturisce la rinuncia alla guerra in virtù della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, mantenendola come la “risorsa” dell’ultimo momento e riservandosi il diritto di “atto unilaterale” per difendere i propri interessi. Nota a margine: Obama, è ora il presidente che ha approvato il più grande bilancio militare nella storia degli USA.
Inoltre, la ratifica finale del nuovo START può essere soggetta a scossoni provenienti dal Senato statunitense e dai i settori più estremisti di Washington, da elementi del Pentagono, dal partito repubblicano e perfino dal Dipartimento di Stato. Mosca diffida: il presidente Medvedev ha insistito sull’opportunità dei parlamentari russi e americani di ratificare in modo coordinato l’accordo START alla luce del fatto che, secondo le sue parole, “Mosca è stata ingannata nel passato” con la ratifica degli accordi sul disarmo. Senza dubbio, nella dichiarazione del presidente russo pesa il ricordo dello START-2, firmato nel 1993, ma che non arrivò mai oltre la fase di ratifica, oltre alla gravissima violazione unilaterale degli Stati Uniti nel 2001, il Trattato anti missili balistici (ABM), ed inoltre, la persistente minaccia costituita dalla NATO ai confini della Russia, senza, per ora, che Washington abbia rinunciato a divorare insieme Ucraina e Georgia. Mosca non dimentica che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli USA hanno inventato (e usato!) le bombe nucleari e poi gradualmente introdotto nuovi sistemi di armi offensive, dai missili intercontinentali utilizzati dalle navi e dai sottomarini, ai bombardieri, per mantenere il loro dominio atomico. L’Unione Sovietica ha adottato questo tipo di armi, ma sempre in risposta alle ambizioni americane: Mosca non si affrettò nella corsa al nucleare.
Alcune decisioni nordamericane preannunciano, d’altra parte, un futuro inquietante, che potrebbe mettere a repentaglio il disarmo nucleare. Alla fine di maggio 2010, gli Stati Uniti hanno schierato una batteria di missili Patriot in Polonia, nella base militare di Morag vicina al confine russo. Questa base diverrà permanente dal 2012 e sarà dotata di missili SM-3, un tipo di armi progettate per distruggere i missili balistici russi (che cosa potrebbero essere, altrimenti?). Come ci si aspettava, questa azione ha portato il ministro degli Esteri russo Serguei Lavrov a chiedere a Washington “spiegazioni plausibili” sui dispiegamenti, mentre la parte polacca andava in fibrillazione rifiutandosi di dare “spiegazioni”, come se iniziative aggressive militari non avessero avuto ripercussioni ed effetti sul paese, come se vestendo il manto della propria sovranità potesse prendere qualsiasi decisione senza calcolarne le conseguenze. Questo passo dimostra che, nonostante l’interesse della stampa occidentale, Obama non ha rinunciato alla “scudo spaziale” di Bush, ma lo ha ridefinito; ha si rinunciato ai previsti insediamenti in Polonia e nella Repubblica Ceca, ma ha previsto l’installazione di un altro “scudo” in Polonia, Romania e Bulgaria. Conta di installare in questi paesi sistemi di missili Aegis, missili intercettori SM-3 (i cui diversi blocchi saranno installati in Europa orientale, come previsto, nel 2011, con una seconda fase tra il 2015 e il 2018 e il suo culmine nel 2020) il cui evidente scopo è quello di essere pronti a distruggere i missili a corto e medio raggio e, infine, anche a lungo raggio, così come missili balistici intercontinentali: uno scudo che punta alla potenza nucleare russa, qualcosa che finalmente realizzato distruggerà completamente l’attuale equilibrio nucleare tra Washington e Mosca, costringendo la Russia a rispondere con altre misure. Il futuro è ancora pieno di pericoli nucleari.
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Re: Energia Nucleare
INTRODUZIONE
L’energia nucleare, con una percentuale di produzione elettrica nel mondo pari al 17% (24% nei paesi OECD, 35% nell’Unione Europea) riduce annualmente l’immissione di 2.4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica [1] nell’atmosfera (la cui concentrazione è aumentata sensibilmente nell’ultimo secolo [2]), costituendo altresì una forma di energia abbondante, poco soggetta alle fluttuazioni dei mercati, e rispettosa dell’ambiente
Prodotto della fissione del combustibile nucleare sono le cosiddette scorie nucleari. Con tale termine si intende indicare il combustibile che giunto alla fine del proprio ciclo di vita deve essere smaltito.
CLASSIFICAZIONE DELLE SCORIE NUCLEARI
Bisogna tenere innanzitutto presente che i rifiuti nucleari vengono suddivisi in tre grandi categorie:
· basso livello: sono i più abbondanti e scarsamente pericolosi (ad esempio il materiale sanitario usato nella medicina nucleare, gli indumenti usa e getta forniti in una visita ad un impianto nucleare, etc.) che costituiscono il 90% delle scorie prodotte ma contengono solo l’1% della radioattività
· medio livello: sono costituiti, ad esempio, dalle guaine degli elementi combustibili del reattore; richiedono una schermatura, ma costituiscono solo il 7% delle scorie (e contengono il 4% della radioattività)
· alto livello: costituiscono il 3% delle scorie ma contengono il 95% della radioattività e sono i più pericolosi a lungo termine.
Il caso più semplice è ovviamente quello dei rifiuti a basso livello. Per essi si tratta la problematica si riduce a mantenerli in deposito, anche presso gli stessi siti ove sono stati prodotti, per i pochi anni (al massimo) necessari al loro decadimento, prima di smaltirli come rifiuti convenzionali, tenendo conto delle loro eventuali altre caratteristiche di pericolosità[3].
condizionamento dei rifiuti di seconda e terza categoria
Per i rifiuti della seconda[3] e della terza categoria, a valle del trattamento con il quale si riduce il loro volume, ad esempio comprimendoli, la prima operazione da compiere è il condizionamento, che consiste (come verrà meglio dettagliato in seguito) nell’inglobare (o, nel caso di liquidi, solidificare) i rifiuti all’interno di una matrice solida, tipicamente cemento o, per una piccola parte, la più calda, di quelli della terza categoria, vetro. Con questa operazione, la radioattività resta imprigionata in una massa inerte, che costituisce una prima barriera tra la radioattività stessa e l’ambiente. La qualità dei manufatti ottenuti con il condizionamento deve rispondere a precisi standard, che vengono verificati attraverso prove, ad esempio, di resistenza alla compressione, al calore, alle stesse radiazioni, alla lisciviazione in caso di eventuale presenza di acqua, circostanza che viene comunque prevenuta attraverso opportuni provvedimenti riguardanti il deposito. I rifiuti condizionati possono essere posti in due tipologie di depositi:
· depositi di tipo ingegneristici: costituiti cioè esclusivamente da strutture fabbricate
· depositi di tipo geologico: realizzati in formazioni profonde, ad esempio argillose o saline, la cui storia è tale da dare garanzie sulla loro stabilità futura, per tempi, appunto, geologici.
depositi per i rifiuti di seconda categoria
I depositi ingegneristici sono adatti ad ospitare i rifiuti radioattivi della seconda categoria e sono costituiti da celle in cemento armato, edifici realizzati in superficie o a livello immediatamente sub-superficiale.
Le loro caratteristiche costruttive sono tali da garantire l’isolamento dei rifiuti per alcune centinaia di anni, quelli necessari al loro decadimento.
Nella soluzione da considerare migliore [3], i rifiuti, preventivamente cementati all'interno di fusti metallici, non vengono posti direttamente nelle celle, ma con essi vengono preliminarmente confezionati dei “moduli”, contenitori anch’essi di cemento armato, al cui interno si dispone un certo numero di fusti, riempiendo quindi gli interstizi con ulteriore malta cementizia .
In tal modo, rispetto all’ambiente esterno si realizzano altre due barriere, costituite rispettivamente dal modulo e dalla cella di deposito.
Al deposito può essere conferita una robustezza tale da renderlo resistente, oltre che agli eventi naturali, anche a possibili atti di terrorismo.
Al di sotto della cella vengono disposti sistemi di raccolta dei drenaggi, dove si convoglierebbero le eventuali infiltrazioni di acqua. Il campionamento di tale acqua consentirebbe di rilevare, nel caso (altamente improbabile) dovesse esservi, la presenza di radioattività e quindi di intervenire. Con depositi di questo tipo possono infatti essere ottenuti elevati livelli di reversibilità, con la possibilità quindi di recuperare, ove se ne ravvisasse la necessità, moduli danneggiati per effettuare le opportune azioni di ripristino. I rifiuti non sono insomma abbandonati nell’ambiente, ma su di essi viene esercitata una sorveglianza per verificare l’assenza di anomalie, fino a che il contenuto residuo di radioattività non scenda a livelli tali da rendere ogni forma di monitoraggio del tutto superflua, fermo restando che anche in caso di perdite non rilevate, i rilasci di radioattività all’ambiente non potrebbero che essere comunque contenuti, data la natura sostanzialmente inerte del rifiuto condizionato.
Un’eventuale copertura finale con un manto di terreno potrebbe favorire l’inserimento delle strutture nell’ambiente circostante, tenendo conto che l’altezza delle celle non supera la decina di metri.
Depositi di questo tipo sono stati ormai ampiamente sperimentati in diversi paesi e, a fronte di una corretta e trasparente procedura di localizzazione, apparirebbero francamente ingiustificate le resistenze alla realizzazione di uno di essi, che consentirebbe di dare finalmente soluzione al problema della sistemazione dei rifiuti presenti in Italia e spesso precariamente ospitati presso i vecchi impianti ove sono stati prodotti, una realizzazione che renderebbe tra l’altro finalmente possibile anche lo smantellamento degli impianti e la liberazione dei rispettivi siti.
Giova sottolineare che un deposito del tipo descritto si porrebbe per i rifiuti della seconda categoria come soluzione definitiva, ma non escluderebbe la possibilità di un recupero dei rifiuti stessi, per dar loro una sistemazione diversa che dovesse un domani essere ritenuta migliore, eventualmente anche sulla base di considerazioni tecnico-economiche.
radiotossicità ed equivalente di dose
Quando si affronta dunque la tematica dell’energia nucleare, ed in particolare quella delle scorie, bisogna tenere presenti questi numeri, ma anche considerare in che modo tali scorie, per quanto ridotte in termini di massa (volume) possano costituire un pericolo potenziale attuale o futuro.
L’approccio attualmente seguito per effettuare tale valutazione (in verità fortemente conservativa) è quello di considerare il lasso di tempo necessario affinché, decadendo, tali prodotti raggiungano la radiotossicità (che è una misura della pericolosità potenziale) dell’uranio originariamente presente in miniera. La radiotossicità è infatti definita come la potenzialità di indurre effetti dannosi (per irraggiamento interno) da parte di un radionuclide. Tale termine può riferirsi sia all’inalazione che all’ingestione.
La radioattività è un fenomeno fisico complesso, caratterizzato da diverse grandezze; quello che interessa però ai fini della salute umana è il cosiddetto equivalente di dose, ossia l’energia specifica depositata nel tessuto umano corretta da opportuni fattori di qualità. In particolare bisogna considerare la natura delle radiazioni, la loro energia, il meccanismo con cui un radionuclide può essere assorbito e poi eliminato dal corpo, etc.
Per ciò che concerne la pericolosità potenziale delle scorie nucleari ci si riferisce, di norma, alla radiotossicità per ingestione, poiché si ipotizza (anche qui forse con eccessiva prudenza) che dopo un certo lasso di tempo, per quanto lungo, tali prodotti vengano disciolti dall’acqua e trasportati attraverso le falde acquifere, costituendo queste quindi una via di ritorno per l’uomo.
A tal proposito, è fondamentale tenere presente che le scorie nucleari vengono depositate in appositi siti (i cosiddetti depositi geologici) dotati di particolari caratteristiche, durevoli nel tempo. Inoltre le scorie, dopo essere state, come già detto, vetrificate (o comunque inglobate in una opportuna matrice inerte), vengono inserite in appositi contenitori protettivi di elevata sicurezza (resistenti anche alla corrosione a lunghissimo termine). Il fine di tali barriere naturali ed ingegneristiche predisposte è quello di ridurre a valori di fatto nulli l’equivalente di dose che le popolazioni che abiteranno in prossimità di tali depositi geologici potrebbero ricevere in un futuro remoto.
RIFIUTI DI TERZA CATEGORIA
La quantificazione
L’ultima categoria è sicuramente quella che pone i maggiori rischi, dati i periodi di dimezzamento molto lunghi e la complessa catena di decadimenti necessaria per raggiungere la stabilità nucleare.
I circa 440 reattori nucleari presenti in 31 nazioni producono annualmente migliaia di tonnellate di scorie.
Un reattore ad acqua pressurizzata da 1000 MWe scarica annualmente da 40 a 70 elementi combustibili contenenti 461.4 kg di uranio ciascuno; tuttavia il 94% del combustibile esausto è costituito da U238, l’1% da U235 (elementi presenti in natura e quindi considerati non pericolosi), il 3-4 % da prodotti di fissione (quali cesio, stronzio, iodio, tecnezio, etc.), pericolosi se liberati in caso di incidente, ma innocui dopo qualche centinaio di anni se custoditi in un deposito geologico. Gli elementi di maggiore rischio perché molto più pericolosi dell’uranio naturale presente in natura sono costituiti per l’1% da i vari isotopi del plutonio e per lo 0.1 % dagli attinidi minori (nettunio, americio e curio; così chiamati perché prodotti in minore quantità nei reattori nucleari tradizionali).
Da una semplice analisi si rileva che un PWR (reattore ad acqua pressurizzata) di grossa taglia, annualmente scarica circa 2÷3 kg di plutonio, 0.2÷0.3 kg di attinidi minori. Per avere un termine di paragone con le fonti tradizionali, si può rilevare che il volume di rifiuti prodotto da queste ultime per produrre la stessa quantità di energia è milioni di volte maggiore. Per meglio visualizzare questo dato basti pensare che è stato calcolato che se un uomo per soddisfare i propri bisogni energetici durante tutta la sua vita usasse la sola energia nucleare [2] produrrebbe un volume di scorie (già vetrificate) minore di quello di una lattina da 33 cl. !
I depositi
Gli USA hanno previsto per il deposito delle scorie nucleari delle centrali il sito di Yucca Mountain, situato nel deserto del Nevada, a circa 100 miglia da Las Vegas. Esso è stato sottoposto innanzitutto dal DOE (Department Of Energy) ad una approfondita analisi geologica con una spesa di 6 miliardi di dollari [4]. Inoltre l’EPA (Environmental Protection Agency), cioè l’ente di controllo ambientale, ha richiesto che fra 10000 anni l’equivalente di dose ricevuto dagli abitanti in seguito ad un eventuale rilascio dei radionuclidi, sia non superiore a 20 mrem/anno. Per valutare l’esosità della richiesta, si noti che l’equivalente di dose medio naturale (che assorbiamo senza danni da centinaia di migliaia di anni) è pari in Italia a circa 300 mrem/anno. Come se ciò non bastasse, recentemente tale lasso di tempo è stato oggetto di critiche, poiché ritenuto insufficiente e si è richiesto addirittura una aumento di tale periodo fino a 100.000 anni.
livello di miniera e pericolosità nel tempo delle scorie
In questo quadro, uno degli approcci più seguiti oggi è quello di calcolare il tempo di ritorno della radiotossicità ai livelli di miniera, di considerare cioè il tempo necessario affinché la radiotossicità per ingestione delle scorie pareggi quella dell’uranio naturalmente presente in miniera. Il concetto è quello di non aumentare il livello della radiotossicità naturale, o, per lo meno, di controllarlo accuratamente finché questo non decada. Bisogna sempre considerare infatti che qualunque sostanza radioattiva, in quanto tale, è soggetta a decadimento, ossia la sua pericolosità generalmente diminuisce nel tempo, al contrario di quanto accade con la tossicità chimica di sostanze come l’arsenico, che rimane costante. Trattasi di un approccio teorico ed indubbiamente molto cautelativo. Con le ipotesi attuali, tali tempi di ritorno sono per le scorie non trattate dei reattori esistenti dell’ordine di 250000 anni (da qui le richieste riguardanti il sito di Yucca Mountain).
Anche in presenza di acqua, i prodotti transuranici (in particolare il plutonio) hanno dimostrato una scarsa motilità dall'esame dei risultati “sperimentali” delle analisi condotte [5] sul terreno circostante un complesso di reattori nucleari formatisi per un insieme di cause naturali ad Oklo, nel Gabon (Africa), circa 2 miliardi di anni fa .
Per motivi che saranno spiegati meglio in un altro articolo un giacimento di uranio ha dato vita nel corso del tempo a ben 17 reattori nucleari naturali che hanno fissionato circa 5 tonnellate di U235 sviluppando approssimativamente 108 MWh con un periodo complessivo di funzionamento dell'ordine di 106 anni [5] [6]. La composizione delle "scorie" trovate nel sito è molto simile a quella dei moderni reattori nucleari. Come già detto, si è rilevato che praticamente tutti i prodotti di fissione sono rimasti nelle immediate vicinanze dei reattori naturali per quasi due miliardi di anni. Il plutonio presente (2.5 tonnellate) non si è spostato che di pochissimo (circa 3 metri secondo i tecnici) [7]. Questo esempio naturale prova, come meglio non sarebbe possibile fare, la ridotta motilità dei prodotti delle reazioni nucleari e quindi l’affidabilità della soluzione del deposito in siti geologicamente stabili.
barriere naturali ed ingegneristiche per i rifiuti di terza categoria
Alla luce di quanto detto, la più importante garanzia nello smaltimento dei rifiuti nucleari è quindi rappresentata proprio dalla natura dei siti prescelti: trattasi di miniere di salgemma vecchie milioni di anni (non vi è mai stata acqua che avrebbe sciolto il sale), banchi basaltici o depositi in zone desertiche, situati al di sopra delle falde acquifere. Le scorie vengono in tali casi depositate a 500÷1000 metri di profondità e pertanto nessun danno da irraggiamento diretto è possibile.
Come già anticipato, nei depositi nucleari oltre alle barriere "naturali", vengono interposte una serie di significative barriere ingegneristiche (che costituiscono quindi una ulteriore garanzia di sicurezza).
La prima barriera ingegneristica è costituita dalla matrice in cui vengono inglobate le scorie. Trattasi di cemento, vetro o SynRock (Synthetic Rock), frutto di decennali ricerche. Sulle scorie così condizionate, vengono effettuate verifiche riguardanti il calore di decadimento, l’auto-irraggiamento e l’eventuale azione chimica dell’acqua (possibile nel lungo periodo). I modelli via via sviluppati sono divenuti sempre più accurati e precisi: oggi si pensa ragionevolmente che la sola vetrificazione possa garantire la tenuta per almeno un milione di anni [8].
Il danno potenziale originato dall’auto-irraggiamento è dovuto principalmente ai nuclei di rinculo nel decadimento alfa, che depositano grandi quantità di energia (dell’ordine di 0.1 MeV) in piccolissime distanze (dell’ordine di 30 nm), generando una cascata di difetti che nel lungo termine potrebbero compromettere la struttura della matrice. Tali effetti sono stati studiati in vetri opportunamente "dopati" con Cm244, ottenendo dosi integrate nel giro di pochi anni che riproducono l’effetto che i vetri dovrebbero ricevere nel corso delle centinaia di migliaia di anni (si parla di 4÷5·1018 particelle α per grammo, con una dose di 4÷5·109 gray). I francesi hanno messo a punto l’R7T7 , di natura simile a quella dei vetri vulcanici , a base di ossidi di silicio, boro, alluminio, sodio e zirconio.
I risultati di tali prove sono rassicuranti: la variazione percentuale di volume è trascurabile (0.6%), e la resistenza a corrosione da parte dell’acqua non viene compromessa significativamente. Inoltre non solo il vetro non risulta infragilito, ma le sue proprietà meccaniche risultano addirittura migliorate (si ha una fragilità ridotta ed un incremento della resistenza alla frattura).
Tali vetri presentano la favorevole caratteristica di ripristinare la loro struttura dopo il passaggio del nucleo di rinculo. Nonostante si sia dimostrato che la matrice vetrosa costituisca già di per se una efficiente e durevole barriera al rilascio dei radionuclidi, bisogna sottolineare che questa rappresenta solo una parte del sistema di isolamento a barriere multiple adottato.
I contenitori usati nella soluzione svedese
Ad esempio, nella soluzione adottata dagli svedesi (SKB), il combustibile esausto viene racchiuso in opportuni contenitori di acciaio inossidabile (con spessore di 50 mm), a loro volta contenuti in cilindri di rame con spessore di 50 mm. In Figura 6 è rappresentato un contenitore cilindrico per rifiuti nucleari lungo circa 5 metri e del diametro di 880 mm. Il contenitore interno di acciaio inossidabile ha uno spessore di 50 mm, ed è a sua volta contenuto in un cilindro di rame dello spessore 50 mm . Il peso totale, compreso il combustibile è di circa 15 tonnellate [9].
Tali contenitori vengono fabbricati con le più moderne e sofisticate tecnologie ed il ‘tappo’ viene saldato elettronicamente [9]. Per quanto riguarda il contenitore interno di acciaio, esso, oltre a costituire una barriera aggiuntiva, serve a sopportare le sollecitazioni meccaniche.
Utilizzo del rame
L’adozione del rame quale involucro esterno rappresenta una garanzia notevole rispetto a possibili, anche se altamente improbabili, infiltrazioni di acqua. Il rame nativo è risultato essere stabile fino ad oltre 500 milioni di anni, e gli archeologi hanno trovato oggetti di rame risalenti ad oltre 8000 anni fa, ancora in buone condizioni.
Questo metallo è duttile, anche a basse temperature e quindi conserva le sue caratteristiche meccaniche anche nel caso di una eventuale glaciazione. Per tali applicazioni si utilizza puro, privo di ossigeno. La stessa acqua presente in profondità è priva di ossigeno, quindi una sua eventuale presenza, causerebbe una corrosione molto ridotta.
Le ipotesi di resistenza del rame sono suffragate dal ritrovamento di un cannone della nave da guerra svedese Kronan, affondata nel XVII secolo. Tale nave, affondata nel giugno 1676 (oltre trecento anni fa), è rimasta fino ad epoche recenti sui fondali del Mare Baltico.
Le barriere multiple nella soluzione svedese
Sulla base delle suddette considerazioni, si può dedurre che le barriere utilizzate nel contenitore rimarranno integre per un periodo praticamente infinito, comunque superiore ad un milione di anni.
Infine, nel caso svedese, i contenitori vengono sepolti a 500÷1000 metri di profondità in una struttura di bentonite situata nel banco basaltico. Tale materiale, assieme alla roccia, agirebbe da ‘filtro’ in caso di una quanto mai improbabile fuoriuscita dei radionuclidi. In questo caso il sistema di protezione risulterebbe essere sostanzialmente costituito da 4 barriere
1) contenitore di acciaio e rame (la stessa natura ceramica del combustibile costituisce una prima efficace barriera)
2) blocchi di bentonite: l’argilla protegge ulteriormente i contenitori dall’acqua (con la quale forma un gel impermeabile) e ne impedisce il movimento
3) misto di bentonite e sabbia che riempie i tunnel
4) roccia che offre un ambiente protettivo sia dal punto di vista meccanico che chimico e che agisce inoltre quale filtro per l’acqua
In un deposito chiuso di tal tipo non è richiesta ulteriore sorveglianza e/o manutenzione per garantirne la sicurezza. Comunque la natura e la quantità del materiale stoccato è opportunamente documentata.
Gli analoghi naturali
Per rinforzare le affermazioni precedenti, si può constatare che la stessa natura si è dimostrata una eccellente fonte di conoscenza al fine della progettazione di un deposito permanente. Per prevedere quello che avverrà fra centinaia di migliaia di anni possiamo fare riferimento a quello che è successo nel passato. Possiamo esaminare il comportamento del sito, risalendo a milioni di anni fa, ottenendo così informazioni di valore insostituibile ai fini della determinazione delle sue caratteristiche. Gli studiosi parlano, in questo caso, di “analoghi naturali”. Ad esempio possiamo studiare il comportamento dei giacimenti naturali di uranio, risalenti a milioni di anni quali, ad esempio, il già citato caso di Oklo.
La natura ha altresì dimostrato come sia possibile isolare alti livelli di radioattività in un sito senza alcun impatto ambientale: in Canada, nel deposito di Cigar Lake, si trova una concentrazione di uranio naturale che arriva al 55% del minerale. Tale miniera si è formata 1300 milioni di anni fa ed è situata a 430 metri di profondità; contiene più di un milione di metri cubi di uranio. L’argilla ha isolato il deposito. Non ci sono tracce in superficie (quali radiazioni, sostanze radioattive, calore) che indichino la presenza della miniera. L’argilla ha dimostrato di poter resistere a temperature dell’ordine del centinaio di gradi centigradi per milioni di anni (come dimostrato nel sito di Hamra, sull’isola di Gotland, nel corso di trivellazioni petrolifere [9]). Ha inoltre l’eccellente capacità di conservare nel tempo gli oggetti che ricopre: la Figura 11 mostra un pezzo di legno proveniente da una foresta vecchia 1.5 milioni di anni. Il ritrovamento è avvenuto a Dunarobba (Italia, Umbria) dove sono stati ritrovati circa una ventina di alberi sepolti nell’argilla: il deterioramento del legno è stato visibilmente prevenuto dalle sue eccellenti proprietà protettive [9]
La soluzione statunitense
Accenniamo infine che la tecnologia presentata rappresenta soltanto una delle tante a disposizione.
Negli USA ad esempio i contenitori, oltre ad inglobare le scorie già sotto forma di vetri al borosilicato (ampiamente collaudati), sono costituiti da un rivestimento esterno di Hastelloy C22, lega molto resistente alla corrosione (si stima un valore del danneggiamento per questa via di circa 0.8 mm in 10000 anni!), e da uno interno di titanio (Grade 7), anch’esso molto resistente alla corrosione (stimata in circa 2 mm dei 15 a disposizione in 10000 anni). Secondo le proiezioni al massimo l’1% dei contenitori potrebbe perdere la propria integrità entro i primi 80000 anni[7].
Le soluzioni francese, britannica e giapponese: il riprocessamento
Altri paesi, come Francia, Giappone e Regno Unito adoperano la tecnologia del “riprocessamento del combustibile”: essa consiste nella separazione per via chimica (processo Purex) dell’uranio e del plutonio (che costituiscono circa il 96% del combustibile esausto) dai prodotti di fissione, che vengono quindi isolati, vetrificati, e stoccati in siti geologici con le tecniche già viste. Tale opzione però non costituisce un’alternativa al deposito geologico, bensì una tecnologia legata al ciclo del combustibile che lo completa; si ha però l’effetto del bruciamento del plutonio, molto favorevole sia da un punto di vista ambientale che energetico. Con tale processo, per ogni tonnellata di combustibile esaurito. si ottiene, attraverso il bruciamento del fissile recuperato, un’energia pari a quella sviluppata da 100000 barili di petrolio. Fino ad oggi nel mondo sono state riprocessate circa 75000 tonnellate di combustibile nucleare [10].
CONCLUSIONI
Si può concludere che la tecnologia dei depositi permanenti delle scorie nucleari è stata analizzata e messa a punto, nei suoi molteplici aspetti, attraverso ricerche condotte in più parti del mondo che hanno visto la collaborazione attiva di università, istituti tecnologici, di ricerca ed esperti del settore [11].
Sono state effettuate lunghe e complete esperienze ed è stata valutata la solubilità e la migrazione dei radionuclidi: si è visto che, in particolare, il plutonio presente nel combustibile presenta una solubilità molto bassa (i livelli sono talmente bassi che sono difficili da misurare!).
Appare chiaro che le attuali tecnologie mettono a disposizione delle valide soluzioni alla questione dello smaltimento sicuro delle scorie nucleari di alto livello. La tematica è sicuramente delicata e merita accurate riflessioni ed approfondimenti (al di la di un certo ”accanimento ecologico” imperante sull’argomento). In particolare, oltre alla necessità della nostra protezione immediata, si pone il problema di non lasciare delle pesanti eredità ‘radioattive’ alle generazioni future, fatto di per se moralmente inaccettabile. Le soluzioni attuali però consentono una custodia sicura per centinaia di migliaia di anni (più realisticamente per milioni di anni), senza alcuna necessità di sorveglianza/controllo. La documentazione esistente potrebbe consentire alle generazioni future di rivedere le nostre decisioni e scegliere una diversa destinazione per le scorie, soprattutto qualora queste fossero ritenute in quel momento ancora utilizzabili e vi fosse la necessità di energia. Riassumendo possiamo dire che:
· la soluzione attuale riguardante il deposito in siti geologici delle scorie nucleari appare del tutto affidabile, adeguata e sicura;
· attualmente, per minimizzare ulteriormente la consistenza delle scorie, sono in corso di studio in tutto il mondo ricerche di tecnologie adatte a ‘bruciare’ il waste (ossia a riportare la sua radiotossicità ai livelli naturali dell’uranio da cui sono state originate) in poche centinaia di anni, e tali tecnologie saranno commercialmente mature entro pochi anni;
· al contrario dei rifiuti pericolosi convenzionali, quali il mercurio o l’arsenico, che sono ‘stabili’, quelli radioattivi sono soggetti a decadimento: questo implica che la loro pericolosità decresca continuamente nel tempo.
Alla luce di queste considerazioni, si può concludere che le scorie radioattive non costituiscono un reale problema ai fini della produzione di energia per via nucleare.
Si può inoltre osservare che sono oggi in fase avanzata di studio impianti nucleari di IV generazione sicuri e con caratteristiche particolarmente favorevoli riguardo ai costi di realizzazione ed alla produzione di scorie.
Ad esempio sono in corso una serie di studi anche nel quadro di attività di ricerca comunitarie [12] [13] sui reattori a gas ad alta temperatura (i reattori del futuro), in grado di utilizzare le scorie per produrre energia, riducendone drasticamente nel tempo la pericolosità.
Possiamo pertanto ritenere che l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare rappresenta una valida quanto necessaria alternativa alle fonti tradizionali (in particolare quelle fossili).
L’aumento dei consumi energetici su scala mondiale ed il conseguente rapido esaurirsi delle scorte con le conseguenti tematiche riguardanti gli equilibri geopolitici, nonché i reali problemi ambientali, ci pongono oggi di fronte a delle scelte delicate ed urgenti che richiedono, particolarmente per l'Italia , un riesame di affrettate ed immotivate decisioni che si sono già dimostrate gravide di negative conseguenze.
Molto del nostro futuro e di quello dei nostri discendenti dipenderà dall’equilibrio, dalla saggezza e dalla lungimiranza delle nostre decisioni attuali.
Bibliografia
[1]
Uranium Information Centre Ltd. – http://www.uic.com
[2]
“Analisi di alcune peculiari potenzialità degli HTR: la produzione di idrogeno ed il bruciamento degli attinidi” - V. Romanello - Tesi di laurea in Ingegneria Nucleare, relatori prof. N. Cerullo, prof. G. Forasassi, prof. B. Montagnini, ing. G. Lomonaco, Università di Pisa - Ottobre 2003 http://etd.adm.unipi.it/theses/availabl ... 03-181233/
[3]
“Considerazioni sui fattori di rischio connessi alla scelta della fonte nucleare di energia” – R. Mezzanotte – Conferenza Petrolio&Atomo – Roma, Luglio 2005
[4]
“Yucca Mountain – Looking ten thousand years into the future” – Los Alamos Science, number 26, 2000 – Roger C. Eckhardt
[5]
NASA – http://antwrp.gsfc.nasa.gov/apod/ap021016.html
[6]
“Introductory Nuclear Physics” – Kenneth S. Krane – Wiley & Sons
[7]
OCRWM (Office of Civilian Radioactive Waste Management) – http://www.ocrwm.doe.gov
[8]
“Glass packages guaranteed for millions of years” – CEA Clefs n. 46
[9]
“Activities 1994 – The Swedish system for radioactive waste” – SKB (Swedish Nuclear Fuel and Waste Management Company) – http://www.skb.se
[10]
“Nuclear Energy Institute” – NEI – http://www.nei.org
[11]
“La tematica delle scorie nucleari” – V. Romanello, G. Lomonaco, N. Cerullo – 21mo Secolo, Luglio 2005
[12]
“The Capabilities of HTRs to Burn Actinides and to Optimize Plutonium Exploitation” – N. Cerullo, D. Bufalino, G. Forasassi, G. Lomonaco, P. Rocchi, V. Romanello – Proceedings of ICONE12, 12th International Conference on Nuclear Engineering, 25-29 April 2004, Arlington, Virginia, USA
[13]
“An additional performance of HTRs: the waste radiotoxicity minimization” – N. Cerullo, D. Bufalino, G. Forasassi, G. Lomonaco, P. Rocchi, V. Romanello – Proceedings of ICRS10, 9-14 May 2004, Madeira, Portugal, to be also published on Radiation Protection Dosimetry
L’energia nucleare, con una percentuale di produzione elettrica nel mondo pari al 17% (24% nei paesi OECD, 35% nell’Unione Europea) riduce annualmente l’immissione di 2.4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica [1] nell’atmosfera (la cui concentrazione è aumentata sensibilmente nell’ultimo secolo [2]), costituendo altresì una forma di energia abbondante, poco soggetta alle fluttuazioni dei mercati, e rispettosa dell’ambiente
Prodotto della fissione del combustibile nucleare sono le cosiddette scorie nucleari. Con tale termine si intende indicare il combustibile che giunto alla fine del proprio ciclo di vita deve essere smaltito.
CLASSIFICAZIONE DELLE SCORIE NUCLEARI
Bisogna tenere innanzitutto presente che i rifiuti nucleari vengono suddivisi in tre grandi categorie:
· basso livello: sono i più abbondanti e scarsamente pericolosi (ad esempio il materiale sanitario usato nella medicina nucleare, gli indumenti usa e getta forniti in una visita ad un impianto nucleare, etc.) che costituiscono il 90% delle scorie prodotte ma contengono solo l’1% della radioattività
· medio livello: sono costituiti, ad esempio, dalle guaine degli elementi combustibili del reattore; richiedono una schermatura, ma costituiscono solo il 7% delle scorie (e contengono il 4% della radioattività)
· alto livello: costituiscono il 3% delle scorie ma contengono il 95% della radioattività e sono i più pericolosi a lungo termine.
Il caso più semplice è ovviamente quello dei rifiuti a basso livello. Per essi si tratta la problematica si riduce a mantenerli in deposito, anche presso gli stessi siti ove sono stati prodotti, per i pochi anni (al massimo) necessari al loro decadimento, prima di smaltirli come rifiuti convenzionali, tenendo conto delle loro eventuali altre caratteristiche di pericolosità[3].
condizionamento dei rifiuti di seconda e terza categoria
Per i rifiuti della seconda[3] e della terza categoria, a valle del trattamento con il quale si riduce il loro volume, ad esempio comprimendoli, la prima operazione da compiere è il condizionamento, che consiste (come verrà meglio dettagliato in seguito) nell’inglobare (o, nel caso di liquidi, solidificare) i rifiuti all’interno di una matrice solida, tipicamente cemento o, per una piccola parte, la più calda, di quelli della terza categoria, vetro. Con questa operazione, la radioattività resta imprigionata in una massa inerte, che costituisce una prima barriera tra la radioattività stessa e l’ambiente. La qualità dei manufatti ottenuti con il condizionamento deve rispondere a precisi standard, che vengono verificati attraverso prove, ad esempio, di resistenza alla compressione, al calore, alle stesse radiazioni, alla lisciviazione in caso di eventuale presenza di acqua, circostanza che viene comunque prevenuta attraverso opportuni provvedimenti riguardanti il deposito. I rifiuti condizionati possono essere posti in due tipologie di depositi:
· depositi di tipo ingegneristici: costituiti cioè esclusivamente da strutture fabbricate
· depositi di tipo geologico: realizzati in formazioni profonde, ad esempio argillose o saline, la cui storia è tale da dare garanzie sulla loro stabilità futura, per tempi, appunto, geologici.
depositi per i rifiuti di seconda categoria
I depositi ingegneristici sono adatti ad ospitare i rifiuti radioattivi della seconda categoria e sono costituiti da celle in cemento armato, edifici realizzati in superficie o a livello immediatamente sub-superficiale.
Le loro caratteristiche costruttive sono tali da garantire l’isolamento dei rifiuti per alcune centinaia di anni, quelli necessari al loro decadimento.
Nella soluzione da considerare migliore [3], i rifiuti, preventivamente cementati all'interno di fusti metallici, non vengono posti direttamente nelle celle, ma con essi vengono preliminarmente confezionati dei “moduli”, contenitori anch’essi di cemento armato, al cui interno si dispone un certo numero di fusti, riempiendo quindi gli interstizi con ulteriore malta cementizia .
In tal modo, rispetto all’ambiente esterno si realizzano altre due barriere, costituite rispettivamente dal modulo e dalla cella di deposito.
Al deposito può essere conferita una robustezza tale da renderlo resistente, oltre che agli eventi naturali, anche a possibili atti di terrorismo.
Al di sotto della cella vengono disposti sistemi di raccolta dei drenaggi, dove si convoglierebbero le eventuali infiltrazioni di acqua. Il campionamento di tale acqua consentirebbe di rilevare, nel caso (altamente improbabile) dovesse esservi, la presenza di radioattività e quindi di intervenire. Con depositi di questo tipo possono infatti essere ottenuti elevati livelli di reversibilità, con la possibilità quindi di recuperare, ove se ne ravvisasse la necessità, moduli danneggiati per effettuare le opportune azioni di ripristino. I rifiuti non sono insomma abbandonati nell’ambiente, ma su di essi viene esercitata una sorveglianza per verificare l’assenza di anomalie, fino a che il contenuto residuo di radioattività non scenda a livelli tali da rendere ogni forma di monitoraggio del tutto superflua, fermo restando che anche in caso di perdite non rilevate, i rilasci di radioattività all’ambiente non potrebbero che essere comunque contenuti, data la natura sostanzialmente inerte del rifiuto condizionato.
Un’eventuale copertura finale con un manto di terreno potrebbe favorire l’inserimento delle strutture nell’ambiente circostante, tenendo conto che l’altezza delle celle non supera la decina di metri.
Depositi di questo tipo sono stati ormai ampiamente sperimentati in diversi paesi e, a fronte di una corretta e trasparente procedura di localizzazione, apparirebbero francamente ingiustificate le resistenze alla realizzazione di uno di essi, che consentirebbe di dare finalmente soluzione al problema della sistemazione dei rifiuti presenti in Italia e spesso precariamente ospitati presso i vecchi impianti ove sono stati prodotti, una realizzazione che renderebbe tra l’altro finalmente possibile anche lo smantellamento degli impianti e la liberazione dei rispettivi siti.
Giova sottolineare che un deposito del tipo descritto si porrebbe per i rifiuti della seconda categoria come soluzione definitiva, ma non escluderebbe la possibilità di un recupero dei rifiuti stessi, per dar loro una sistemazione diversa che dovesse un domani essere ritenuta migliore, eventualmente anche sulla base di considerazioni tecnico-economiche.
radiotossicità ed equivalente di dose
Quando si affronta dunque la tematica dell’energia nucleare, ed in particolare quella delle scorie, bisogna tenere presenti questi numeri, ma anche considerare in che modo tali scorie, per quanto ridotte in termini di massa (volume) possano costituire un pericolo potenziale attuale o futuro.
L’approccio attualmente seguito per effettuare tale valutazione (in verità fortemente conservativa) è quello di considerare il lasso di tempo necessario affinché, decadendo, tali prodotti raggiungano la radiotossicità (che è una misura della pericolosità potenziale) dell’uranio originariamente presente in miniera. La radiotossicità è infatti definita come la potenzialità di indurre effetti dannosi (per irraggiamento interno) da parte di un radionuclide. Tale termine può riferirsi sia all’inalazione che all’ingestione.
La radioattività è un fenomeno fisico complesso, caratterizzato da diverse grandezze; quello che interessa però ai fini della salute umana è il cosiddetto equivalente di dose, ossia l’energia specifica depositata nel tessuto umano corretta da opportuni fattori di qualità. In particolare bisogna considerare la natura delle radiazioni, la loro energia, il meccanismo con cui un radionuclide può essere assorbito e poi eliminato dal corpo, etc.
Per ciò che concerne la pericolosità potenziale delle scorie nucleari ci si riferisce, di norma, alla radiotossicità per ingestione, poiché si ipotizza (anche qui forse con eccessiva prudenza) che dopo un certo lasso di tempo, per quanto lungo, tali prodotti vengano disciolti dall’acqua e trasportati attraverso le falde acquifere, costituendo queste quindi una via di ritorno per l’uomo.
A tal proposito, è fondamentale tenere presente che le scorie nucleari vengono depositate in appositi siti (i cosiddetti depositi geologici) dotati di particolari caratteristiche, durevoli nel tempo. Inoltre le scorie, dopo essere state, come già detto, vetrificate (o comunque inglobate in una opportuna matrice inerte), vengono inserite in appositi contenitori protettivi di elevata sicurezza (resistenti anche alla corrosione a lunghissimo termine). Il fine di tali barriere naturali ed ingegneristiche predisposte è quello di ridurre a valori di fatto nulli l’equivalente di dose che le popolazioni che abiteranno in prossimità di tali depositi geologici potrebbero ricevere in un futuro remoto.
RIFIUTI DI TERZA CATEGORIA
La quantificazione
L’ultima categoria è sicuramente quella che pone i maggiori rischi, dati i periodi di dimezzamento molto lunghi e la complessa catena di decadimenti necessaria per raggiungere la stabilità nucleare.
I circa 440 reattori nucleari presenti in 31 nazioni producono annualmente migliaia di tonnellate di scorie.
Un reattore ad acqua pressurizzata da 1000 MWe scarica annualmente da 40 a 70 elementi combustibili contenenti 461.4 kg di uranio ciascuno; tuttavia il 94% del combustibile esausto è costituito da U238, l’1% da U235 (elementi presenti in natura e quindi considerati non pericolosi), il 3-4 % da prodotti di fissione (quali cesio, stronzio, iodio, tecnezio, etc.), pericolosi se liberati in caso di incidente, ma innocui dopo qualche centinaio di anni se custoditi in un deposito geologico. Gli elementi di maggiore rischio perché molto più pericolosi dell’uranio naturale presente in natura sono costituiti per l’1% da i vari isotopi del plutonio e per lo 0.1 % dagli attinidi minori (nettunio, americio e curio; così chiamati perché prodotti in minore quantità nei reattori nucleari tradizionali).
Da una semplice analisi si rileva che un PWR (reattore ad acqua pressurizzata) di grossa taglia, annualmente scarica circa 2÷3 kg di plutonio, 0.2÷0.3 kg di attinidi minori. Per avere un termine di paragone con le fonti tradizionali, si può rilevare che il volume di rifiuti prodotto da queste ultime per produrre la stessa quantità di energia è milioni di volte maggiore. Per meglio visualizzare questo dato basti pensare che è stato calcolato che se un uomo per soddisfare i propri bisogni energetici durante tutta la sua vita usasse la sola energia nucleare [2] produrrebbe un volume di scorie (già vetrificate) minore di quello di una lattina da 33 cl. !
I depositi
Gli USA hanno previsto per il deposito delle scorie nucleari delle centrali il sito di Yucca Mountain, situato nel deserto del Nevada, a circa 100 miglia da Las Vegas. Esso è stato sottoposto innanzitutto dal DOE (Department Of Energy) ad una approfondita analisi geologica con una spesa di 6 miliardi di dollari [4]. Inoltre l’EPA (Environmental Protection Agency), cioè l’ente di controllo ambientale, ha richiesto che fra 10000 anni l’equivalente di dose ricevuto dagli abitanti in seguito ad un eventuale rilascio dei radionuclidi, sia non superiore a 20 mrem/anno. Per valutare l’esosità della richiesta, si noti che l’equivalente di dose medio naturale (che assorbiamo senza danni da centinaia di migliaia di anni) è pari in Italia a circa 300 mrem/anno. Come se ciò non bastasse, recentemente tale lasso di tempo è stato oggetto di critiche, poiché ritenuto insufficiente e si è richiesto addirittura una aumento di tale periodo fino a 100.000 anni.
livello di miniera e pericolosità nel tempo delle scorie
In questo quadro, uno degli approcci più seguiti oggi è quello di calcolare il tempo di ritorno della radiotossicità ai livelli di miniera, di considerare cioè il tempo necessario affinché la radiotossicità per ingestione delle scorie pareggi quella dell’uranio naturalmente presente in miniera. Il concetto è quello di non aumentare il livello della radiotossicità naturale, o, per lo meno, di controllarlo accuratamente finché questo non decada. Bisogna sempre considerare infatti che qualunque sostanza radioattiva, in quanto tale, è soggetta a decadimento, ossia la sua pericolosità generalmente diminuisce nel tempo, al contrario di quanto accade con la tossicità chimica di sostanze come l’arsenico, che rimane costante. Trattasi di un approccio teorico ed indubbiamente molto cautelativo. Con le ipotesi attuali, tali tempi di ritorno sono per le scorie non trattate dei reattori esistenti dell’ordine di 250000 anni (da qui le richieste riguardanti il sito di Yucca Mountain).
Anche in presenza di acqua, i prodotti transuranici (in particolare il plutonio) hanno dimostrato una scarsa motilità dall'esame dei risultati “sperimentali” delle analisi condotte [5] sul terreno circostante un complesso di reattori nucleari formatisi per un insieme di cause naturali ad Oklo, nel Gabon (Africa), circa 2 miliardi di anni fa .
Per motivi che saranno spiegati meglio in un altro articolo un giacimento di uranio ha dato vita nel corso del tempo a ben 17 reattori nucleari naturali che hanno fissionato circa 5 tonnellate di U235 sviluppando approssimativamente 108 MWh con un periodo complessivo di funzionamento dell'ordine di 106 anni [5] [6]. La composizione delle "scorie" trovate nel sito è molto simile a quella dei moderni reattori nucleari. Come già detto, si è rilevato che praticamente tutti i prodotti di fissione sono rimasti nelle immediate vicinanze dei reattori naturali per quasi due miliardi di anni. Il plutonio presente (2.5 tonnellate) non si è spostato che di pochissimo (circa 3 metri secondo i tecnici) [7]. Questo esempio naturale prova, come meglio non sarebbe possibile fare, la ridotta motilità dei prodotti delle reazioni nucleari e quindi l’affidabilità della soluzione del deposito in siti geologicamente stabili.
barriere naturali ed ingegneristiche per i rifiuti di terza categoria
Alla luce di quanto detto, la più importante garanzia nello smaltimento dei rifiuti nucleari è quindi rappresentata proprio dalla natura dei siti prescelti: trattasi di miniere di salgemma vecchie milioni di anni (non vi è mai stata acqua che avrebbe sciolto il sale), banchi basaltici o depositi in zone desertiche, situati al di sopra delle falde acquifere. Le scorie vengono in tali casi depositate a 500÷1000 metri di profondità e pertanto nessun danno da irraggiamento diretto è possibile.
Come già anticipato, nei depositi nucleari oltre alle barriere "naturali", vengono interposte una serie di significative barriere ingegneristiche (che costituiscono quindi una ulteriore garanzia di sicurezza).
La prima barriera ingegneristica è costituita dalla matrice in cui vengono inglobate le scorie. Trattasi di cemento, vetro o SynRock (Synthetic Rock), frutto di decennali ricerche. Sulle scorie così condizionate, vengono effettuate verifiche riguardanti il calore di decadimento, l’auto-irraggiamento e l’eventuale azione chimica dell’acqua (possibile nel lungo periodo). I modelli via via sviluppati sono divenuti sempre più accurati e precisi: oggi si pensa ragionevolmente che la sola vetrificazione possa garantire la tenuta per almeno un milione di anni [8].
Il danno potenziale originato dall’auto-irraggiamento è dovuto principalmente ai nuclei di rinculo nel decadimento alfa, che depositano grandi quantità di energia (dell’ordine di 0.1 MeV) in piccolissime distanze (dell’ordine di 30 nm), generando una cascata di difetti che nel lungo termine potrebbero compromettere la struttura della matrice. Tali effetti sono stati studiati in vetri opportunamente "dopati" con Cm244, ottenendo dosi integrate nel giro di pochi anni che riproducono l’effetto che i vetri dovrebbero ricevere nel corso delle centinaia di migliaia di anni (si parla di 4÷5·1018 particelle α per grammo, con una dose di 4÷5·109 gray). I francesi hanno messo a punto l’R7T7 , di natura simile a quella dei vetri vulcanici , a base di ossidi di silicio, boro, alluminio, sodio e zirconio.
I risultati di tali prove sono rassicuranti: la variazione percentuale di volume è trascurabile (0.6%), e la resistenza a corrosione da parte dell’acqua non viene compromessa significativamente. Inoltre non solo il vetro non risulta infragilito, ma le sue proprietà meccaniche risultano addirittura migliorate (si ha una fragilità ridotta ed un incremento della resistenza alla frattura).
Tali vetri presentano la favorevole caratteristica di ripristinare la loro struttura dopo il passaggio del nucleo di rinculo. Nonostante si sia dimostrato che la matrice vetrosa costituisca già di per se una efficiente e durevole barriera al rilascio dei radionuclidi, bisogna sottolineare che questa rappresenta solo una parte del sistema di isolamento a barriere multiple adottato.
I contenitori usati nella soluzione svedese
Ad esempio, nella soluzione adottata dagli svedesi (SKB), il combustibile esausto viene racchiuso in opportuni contenitori di acciaio inossidabile (con spessore di 50 mm), a loro volta contenuti in cilindri di rame con spessore di 50 mm. In Figura 6 è rappresentato un contenitore cilindrico per rifiuti nucleari lungo circa 5 metri e del diametro di 880 mm. Il contenitore interno di acciaio inossidabile ha uno spessore di 50 mm, ed è a sua volta contenuto in un cilindro di rame dello spessore 50 mm . Il peso totale, compreso il combustibile è di circa 15 tonnellate [9].
Tali contenitori vengono fabbricati con le più moderne e sofisticate tecnologie ed il ‘tappo’ viene saldato elettronicamente [9]. Per quanto riguarda il contenitore interno di acciaio, esso, oltre a costituire una barriera aggiuntiva, serve a sopportare le sollecitazioni meccaniche.
Utilizzo del rame
L’adozione del rame quale involucro esterno rappresenta una garanzia notevole rispetto a possibili, anche se altamente improbabili, infiltrazioni di acqua. Il rame nativo è risultato essere stabile fino ad oltre 500 milioni di anni, e gli archeologi hanno trovato oggetti di rame risalenti ad oltre 8000 anni fa, ancora in buone condizioni.
Questo metallo è duttile, anche a basse temperature e quindi conserva le sue caratteristiche meccaniche anche nel caso di una eventuale glaciazione. Per tali applicazioni si utilizza puro, privo di ossigeno. La stessa acqua presente in profondità è priva di ossigeno, quindi una sua eventuale presenza, causerebbe una corrosione molto ridotta.
Le ipotesi di resistenza del rame sono suffragate dal ritrovamento di un cannone della nave da guerra svedese Kronan, affondata nel XVII secolo. Tale nave, affondata nel giugno 1676 (oltre trecento anni fa), è rimasta fino ad epoche recenti sui fondali del Mare Baltico.
Le barriere multiple nella soluzione svedese
Sulla base delle suddette considerazioni, si può dedurre che le barriere utilizzate nel contenitore rimarranno integre per un periodo praticamente infinito, comunque superiore ad un milione di anni.
Infine, nel caso svedese, i contenitori vengono sepolti a 500÷1000 metri di profondità in una struttura di bentonite situata nel banco basaltico. Tale materiale, assieme alla roccia, agirebbe da ‘filtro’ in caso di una quanto mai improbabile fuoriuscita dei radionuclidi. In questo caso il sistema di protezione risulterebbe essere sostanzialmente costituito da 4 barriere
1) contenitore di acciaio e rame (la stessa natura ceramica del combustibile costituisce una prima efficace barriera)
2) blocchi di bentonite: l’argilla protegge ulteriormente i contenitori dall’acqua (con la quale forma un gel impermeabile) e ne impedisce il movimento
3) misto di bentonite e sabbia che riempie i tunnel
4) roccia che offre un ambiente protettivo sia dal punto di vista meccanico che chimico e che agisce inoltre quale filtro per l’acqua
In un deposito chiuso di tal tipo non è richiesta ulteriore sorveglianza e/o manutenzione per garantirne la sicurezza. Comunque la natura e la quantità del materiale stoccato è opportunamente documentata.
Gli analoghi naturali
Per rinforzare le affermazioni precedenti, si può constatare che la stessa natura si è dimostrata una eccellente fonte di conoscenza al fine della progettazione di un deposito permanente. Per prevedere quello che avverrà fra centinaia di migliaia di anni possiamo fare riferimento a quello che è successo nel passato. Possiamo esaminare il comportamento del sito, risalendo a milioni di anni fa, ottenendo così informazioni di valore insostituibile ai fini della determinazione delle sue caratteristiche. Gli studiosi parlano, in questo caso, di “analoghi naturali”. Ad esempio possiamo studiare il comportamento dei giacimenti naturali di uranio, risalenti a milioni di anni quali, ad esempio, il già citato caso di Oklo.
La natura ha altresì dimostrato come sia possibile isolare alti livelli di radioattività in un sito senza alcun impatto ambientale: in Canada, nel deposito di Cigar Lake, si trova una concentrazione di uranio naturale che arriva al 55% del minerale. Tale miniera si è formata 1300 milioni di anni fa ed è situata a 430 metri di profondità; contiene più di un milione di metri cubi di uranio. L’argilla ha isolato il deposito. Non ci sono tracce in superficie (quali radiazioni, sostanze radioattive, calore) che indichino la presenza della miniera. L’argilla ha dimostrato di poter resistere a temperature dell’ordine del centinaio di gradi centigradi per milioni di anni (come dimostrato nel sito di Hamra, sull’isola di Gotland, nel corso di trivellazioni petrolifere [9]). Ha inoltre l’eccellente capacità di conservare nel tempo gli oggetti che ricopre: la Figura 11 mostra un pezzo di legno proveniente da una foresta vecchia 1.5 milioni di anni. Il ritrovamento è avvenuto a Dunarobba (Italia, Umbria) dove sono stati ritrovati circa una ventina di alberi sepolti nell’argilla: il deterioramento del legno è stato visibilmente prevenuto dalle sue eccellenti proprietà protettive [9]
La soluzione statunitense
Accenniamo infine che la tecnologia presentata rappresenta soltanto una delle tante a disposizione.
Negli USA ad esempio i contenitori, oltre ad inglobare le scorie già sotto forma di vetri al borosilicato (ampiamente collaudati), sono costituiti da un rivestimento esterno di Hastelloy C22, lega molto resistente alla corrosione (si stima un valore del danneggiamento per questa via di circa 0.8 mm in 10000 anni!), e da uno interno di titanio (Grade 7), anch’esso molto resistente alla corrosione (stimata in circa 2 mm dei 15 a disposizione in 10000 anni). Secondo le proiezioni al massimo l’1% dei contenitori potrebbe perdere la propria integrità entro i primi 80000 anni[7].
Le soluzioni francese, britannica e giapponese: il riprocessamento
Altri paesi, come Francia, Giappone e Regno Unito adoperano la tecnologia del “riprocessamento del combustibile”: essa consiste nella separazione per via chimica (processo Purex) dell’uranio e del plutonio (che costituiscono circa il 96% del combustibile esausto) dai prodotti di fissione, che vengono quindi isolati, vetrificati, e stoccati in siti geologici con le tecniche già viste. Tale opzione però non costituisce un’alternativa al deposito geologico, bensì una tecnologia legata al ciclo del combustibile che lo completa; si ha però l’effetto del bruciamento del plutonio, molto favorevole sia da un punto di vista ambientale che energetico. Con tale processo, per ogni tonnellata di combustibile esaurito. si ottiene, attraverso il bruciamento del fissile recuperato, un’energia pari a quella sviluppata da 100000 barili di petrolio. Fino ad oggi nel mondo sono state riprocessate circa 75000 tonnellate di combustibile nucleare [10].
CONCLUSIONI
Si può concludere che la tecnologia dei depositi permanenti delle scorie nucleari è stata analizzata e messa a punto, nei suoi molteplici aspetti, attraverso ricerche condotte in più parti del mondo che hanno visto la collaborazione attiva di università, istituti tecnologici, di ricerca ed esperti del settore [11].
Sono state effettuate lunghe e complete esperienze ed è stata valutata la solubilità e la migrazione dei radionuclidi: si è visto che, in particolare, il plutonio presente nel combustibile presenta una solubilità molto bassa (i livelli sono talmente bassi che sono difficili da misurare!).
Appare chiaro che le attuali tecnologie mettono a disposizione delle valide soluzioni alla questione dello smaltimento sicuro delle scorie nucleari di alto livello. La tematica è sicuramente delicata e merita accurate riflessioni ed approfondimenti (al di la di un certo ”accanimento ecologico” imperante sull’argomento). In particolare, oltre alla necessità della nostra protezione immediata, si pone il problema di non lasciare delle pesanti eredità ‘radioattive’ alle generazioni future, fatto di per se moralmente inaccettabile. Le soluzioni attuali però consentono una custodia sicura per centinaia di migliaia di anni (più realisticamente per milioni di anni), senza alcuna necessità di sorveglianza/controllo. La documentazione esistente potrebbe consentire alle generazioni future di rivedere le nostre decisioni e scegliere una diversa destinazione per le scorie, soprattutto qualora queste fossero ritenute in quel momento ancora utilizzabili e vi fosse la necessità di energia. Riassumendo possiamo dire che:
· la soluzione attuale riguardante il deposito in siti geologici delle scorie nucleari appare del tutto affidabile, adeguata e sicura;
· attualmente, per minimizzare ulteriormente la consistenza delle scorie, sono in corso di studio in tutto il mondo ricerche di tecnologie adatte a ‘bruciare’ il waste (ossia a riportare la sua radiotossicità ai livelli naturali dell’uranio da cui sono state originate) in poche centinaia di anni, e tali tecnologie saranno commercialmente mature entro pochi anni;
· al contrario dei rifiuti pericolosi convenzionali, quali il mercurio o l’arsenico, che sono ‘stabili’, quelli radioattivi sono soggetti a decadimento: questo implica che la loro pericolosità decresca continuamente nel tempo.
Alla luce di queste considerazioni, si può concludere che le scorie radioattive non costituiscono un reale problema ai fini della produzione di energia per via nucleare.
Si può inoltre osservare che sono oggi in fase avanzata di studio impianti nucleari di IV generazione sicuri e con caratteristiche particolarmente favorevoli riguardo ai costi di realizzazione ed alla produzione di scorie.
Ad esempio sono in corso una serie di studi anche nel quadro di attività di ricerca comunitarie [12] [13] sui reattori a gas ad alta temperatura (i reattori del futuro), in grado di utilizzare le scorie per produrre energia, riducendone drasticamente nel tempo la pericolosità.
Possiamo pertanto ritenere che l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare rappresenta una valida quanto necessaria alternativa alle fonti tradizionali (in particolare quelle fossili).
L’aumento dei consumi energetici su scala mondiale ed il conseguente rapido esaurirsi delle scorte con le conseguenti tematiche riguardanti gli equilibri geopolitici, nonché i reali problemi ambientali, ci pongono oggi di fronte a delle scelte delicate ed urgenti che richiedono, particolarmente per l'Italia , un riesame di affrettate ed immotivate decisioni che si sono già dimostrate gravide di negative conseguenze.
Molto del nostro futuro e di quello dei nostri discendenti dipenderà dall’equilibrio, dalla saggezza e dalla lungimiranza delle nostre decisioni attuali.
Bibliografia
[1]
Uranium Information Centre Ltd. – http://www.uic.com
[2]
“Analisi di alcune peculiari potenzialità degli HTR: la produzione di idrogeno ed il bruciamento degli attinidi” - V. Romanello - Tesi di laurea in Ingegneria Nucleare, relatori prof. N. Cerullo, prof. G. Forasassi, prof. B. Montagnini, ing. G. Lomonaco, Università di Pisa - Ottobre 2003 http://etd.adm.unipi.it/theses/availabl ... 03-181233/
[3]
“Considerazioni sui fattori di rischio connessi alla scelta della fonte nucleare di energia” – R. Mezzanotte – Conferenza Petrolio&Atomo – Roma, Luglio 2005
[4]
“Yucca Mountain – Looking ten thousand years into the future” – Los Alamos Science, number 26, 2000 – Roger C. Eckhardt
[5]
NASA – http://antwrp.gsfc.nasa.gov/apod/ap021016.html
[6]
“Introductory Nuclear Physics” – Kenneth S. Krane – Wiley & Sons
[7]
OCRWM (Office of Civilian Radioactive Waste Management) – http://www.ocrwm.doe.gov
[8]
“Glass packages guaranteed for millions of years” – CEA Clefs n. 46
[9]
“Activities 1994 – The Swedish system for radioactive waste” – SKB (Swedish Nuclear Fuel and Waste Management Company) – http://www.skb.se
[10]
“Nuclear Energy Institute” – NEI – http://www.nei.org
[11]
“La tematica delle scorie nucleari” – V. Romanello, G. Lomonaco, N. Cerullo – 21mo Secolo, Luglio 2005
[12]
“The Capabilities of HTRs to Burn Actinides and to Optimize Plutonium Exploitation” – N. Cerullo, D. Bufalino, G. Forasassi, G. Lomonaco, P. Rocchi, V. Romanello – Proceedings of ICONE12, 12th International Conference on Nuclear Engineering, 25-29 April 2004, Arlington, Virginia, USA
[13]
“An additional performance of HTRs: the waste radiotoxicity minimization” – N. Cerullo, D. Bufalino, G. Forasassi, G. Lomonaco, P. Rocchi, V. Romanello – Proceedings of ICRS10, 9-14 May 2004, Madeira, Portugal, to be also published on Radiation Protection Dosimetry
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Re: Energia Nucleare
Uso razionale dell'energia
Il problema energetico
Il settore energetico è da sempre elemento cruciale nell'economia di una nazione industrializzata. Il problema energetico si è evoluto in questi ultimi due secoli assumendo connotati sempre più specifici e delicati. L'enorme disponibilità di idrocarburi ha fossilizzato per decenni il mercato delle risorse primarie per la produzione di energia e ha scoraggiato la ricerca verso nuove risorse e per l'uso sapiente e oculato delle fonti tradizionali. La crisi petrolifera degli anni settanta, il problema ambientale accentuato in questi ultimi anni da modificazioni climatiche a livello mondiale, la "crisi" del nucleare, hanno sensibilizzato il mondo produttivo verso nuove soluzioni in campo energetico. Questi fatti hanno indirizzato negli ultimi anni la ricerca scientifica e tecnologica verso lo sfruttamento di nuove risorse primarie a minore impatto ambientale e l'incremento del risparmio energetico sulle fonti tradizionali.
L'uso razionale dell'energia può essere definito come quella operazione tecnologica con la quale si intende conseguire l'obiettivo di realizzare gli stessi prodotti o servizi (in quantità e qualità) con un minor consumo di energia primaria ed eventualmente con un maggior impegno di risorse d'altro tipo (capitale, lavoro, materiali, ecc.).
Questa definizione distingue l'uso razionale dell'energia dal sacrificio energetico, che è invece un'operazione economico-sociale con la quale si intende incentivare gli utenti (con la propaganda, con le tariffe, con il razionamento) a modificare le loro abitudini di consumo nel senso di soddisfare i propri bisogni finali con modalità che comportino minori consumi di energia. In questo caso quindi il servizio offerto è di qualità diversa.
Nell'uso razionale dell'energia si configura dunque un'operazione di riallocazione delle risorse volte ad ottenere una data finalità. Qualunque progetto ingegneristico è concettualmente riconducibile a questo luogo decisionale, in cui le varie soluzioni offerte dalla tecnologia si incontrano per confrontarsi fra loro, in termini di rese, di rendimenti e di costi specifici.
E' lasciato all'esperienza del progettista dare alle varie realizzazioni un assetto tale che per ciascuna di esse si abbia un dato consumo di energia ed un correlato consumo di strutture, consumi che si tradurranno poi, nei conti economici, in costi-energia e costi-capitale. Risparmiare energia comporterà, a parità di condizioni economiche, un maggiore costo capitale e viceversa. Per ogni situazione economica esisterà un rapporto ottimale fra questi due costi che darà luogo al conseguimento dello stesso risultato col minor onere monetario: in tempi di elevati costi dell'energia si cercherà di razionalizzare il consumo di energia e si abbonderà in oneri capitale e viceversa in tempi di energia a buon mercato rispetto al costo dei manufatti e del capitale. Queste considerazioni impongono al progettista un lavoro di analisi che può risultare delicato perché privo dell'assistenza e della guida di un'esperienza precedente. Questa, infatti, può non essere disponibile in quanto la variazione dei prezzi dell'energia può avvenire in maniera troppo rapida perché i vari adeguamenti tecnologici possano ricevere il confronto e la conferma da parte dei risultati ottenuti.
E' importante rilevare che gli interventi per la razionalizzazione dei consumi energetici hanno permesso di limitare lo spreco delle fonti energetiche convenzionali, senza comprimere lo sviluppo economico. Se fino al 1973, alla crescita del PIL corrispondeva una proporzionale crescita dei consumi di energia, a partire da tale anno si è riusciti "limitare" tali consumi anche se il PIL ha continuato a salire (vedi Figura 1).
Figura1 Confronto consumi energetici-P.I.L.
Proseguendo idealmente la curva dei consumi, mantenendola, cioè , parallela alla curva del PIL, e confrontandola con quella storica si ha la percezione dei notevoli risultati ottenuti mediante l'uso razionale delle fonti energetiche.
In definitiva si può considerare la voce "risparmio energetico e uso razionale dell'energia" come una vera fonte energetica alternativa, alla pari del sole, del vento e delle altre fonti. Purtroppo presenta anch'essa un limite massimo di sfruttamento e il suo raggiungimento diventa anche sempre più economicamente oneroso. Per esempio, nelle piccole e medie industrie si può arrivare a risparmiare il 20% del consumo energetico, mentre il 75-80% dei costi è incomprimibile.
Inizialmente gli interventi di razionalizzazione furono molto semplici, tanto erano macroscopici gli sprechi; passando il tempo, però, essi sono diventati via via più costosi e la loro dipendenza tecnica ed economica è fortemente dipendente dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio. Tuttavia però non possiamo non tener conto degli elevati costi ambientali: per minori investimenti economici di razionalizzazione energetica effettuati dalla PMI si hanno però maggiori costi ambientali con danni così all'intera collettività sociale.
Per non rinunciare ai benefici ambientali ottenibili, tali interventi di razionalizzazione energetica necessitano pertanto di incentivi pubblici, così da rendere economicamente convenienti per l'utente interventi di risparmio energetico e uso razionale dell'energia che non lo sarebbero in assenza di tali incentivi.
Le possibili forme di intervento sono rimaste, invece, fondamentalmente le stesse e sono:
la razionalizzazione degli usi finali
i miglioramenti tecnologici
i recuperi e risparmi energetici
la diversificazione energetica.
Elemento unificante delle varie politiche d'intervento è la necessità di una costante campagna di informazione e rieducazione per i cittadini, ma anche per i medi e grandi utenti.
Effettive possibiltà di risparmio energetico
Ciascun intervento di razionalizzazione energetica sul singolo utente si può scindere in due fasi principali:
una fase propositiva, in cui il problema energetico viene razionalizzato, sezionato ed illustrato nei suoi aspetti essenziali in una prospettiva più vicina a quella dell'utente che non a quella dell'operatore; questa fase propositiva è sviluppata metodologicamente a largo respiro, ossia con il fine di raggiungere il massimo numero di utenti.
una fase operativa in cui si applicano praticamente i suggerimenti indicati nella fase propositiva.
L'elemento di partenza irrinunciabile della fase operativa è il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO, che si è rivelato, dopo anni di esperienza condotte nel settore, come l'inevitabile passo iniziale di ogni corretto intervento in campo energetico.
Tale CHECK-UP consiste in una breve indagine energetica da svolgersi presso l'utente che permetta di rilevare le possibili ed attuali aree d'intervento di risparmio energetico.
Nell'analizzare le effettive possibilità di risparmio energetico nelle piccole e medie industrie è importante premettere due considerazioni a carattere generale:
risparmiare energia è possibile ed è, in linea di massima molto più conveniente di quanto generalmente non si creda.
risparmiare energia non significa necessariamente investire ingenti risorse finanziarie.
Infatti, nel collegare il risparmio energetico all'investimento, è opportuno considerare tre livelli di intervento:
LIVELLO A: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento nullo.
LIVELLO B: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento ammortizzabile nel breve periodo.
LIVELLO C: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento ammortizzabile .
Molti operatori economici e spesso anche gli enti statali hanno minimizzato l'importanza del risparmio energetico conseguibile al LIVELLO A, trascurando le esperienze positive realizzate in questa direzione dagli altri paesi europei e nord-americani.
Eppure è stata ampiamente dimostrata la possibilità di ottenere assai spesso risparmi energetici che vanno dal 5% al 20%, senza consistenti investimenti, ma solo con attenti e programmati interventi di manutenzione e controllo (è in quest'ottica che si inserisce RTAP, come vedremo meglio in seguito) e con un'assidua politica di educazione energetica del personale.
Anche da un punto di vista strettamente logico, è assurdo programmare investimenti nel settore del risparmio energetico, vale a dire salire ai LIVELLI B e C, senza aver prima attivato tutte le possibilità offerte dal LIVELLO A e soprattutto senza aver prima determinato i consumi energetici effettivi, in genere ben diversi da quelli, per così dire apparenti.
In generale, per conoscere gli effettivi consumi di energia, distinti da quelli apparenti che lo stabilimento registra senza alcuna razionalizzazione, vale a dire per individuare i minimi consumi possibili, è necessario valutare l'effetto che può scaturire dall'applicazione di tutte le possibilità di intervento a basso investimento. Occorre dunque, innanzi tutto, individuare l'effettiva situazione energetica dell'azienda, visualizzando le aree di spreco attraverso, appunto, il citato CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO. In tal modo si determinano, peraltro, anche i risparmi energetici che richiedono investimenti ai LIVELLI B e C.
Aspetti legislativi in materia d'uso razionale dell'energia
Da un punto di vista legislativo la voce uso razionale dell'energia si può considerare come una vera e propria fonte energetica. Le norme in materia fanno riferimento principalmente alle leggi Nº9 del 9 gennaio 1991 e Nº10 sempre del 9 gennaio 1991.
La legge Nº9 è così intitolata: "Norme per l'attuazione del nuovo piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali".
La legge Nº10 è così intitolata: "Norme per l'attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia". L'Articolo 1 definisce finalità e ambito di applicazione della legge, favorendo e incentivando:
L'uso razionale dell'energia.
ll contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell'utilizzo di manufatti.
L'utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia.
La riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.
La sostituzione degli impianti nei settori a più elevata intensità energetica.
Ai fini della citata legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate le seguenti:
Sole.
Vento.
Energia idraulica.
Risorse geotermiche.
Maree e moto ondoso.
Trasformazione di rifiuti organici, inorganici e vegetali.
Sono considerate, inoltre, fonti di energia assimilate alle rinnovabili le seguenti:
La cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e calore.
Il calore recuperabile dai fumi di scarico, impianti termici, elettrici e da processi industriali.
I risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti.
Accesso ai finanziamenti
Come si è già sottolineato, uno dei principali ostacoli alla diffusione capillare degli interventi di razionalizzazione energetica nelle P.M.I. è rappresentato dalla diffidenza con cui queste guardano alla possibilità di operare investimenti nel settore, ne d'altra parte il costo del denaro è oggi tale da incentivare simili pratiche.
E' perciò importante sottolineare il fatto che esistono molteplici fonti di finanziamento agevolato cui possono attingere le P.M.I. che decidano di investire nel settore del risparmio energetico e, più in generale, della innovazione tecnologica, che ad esso è, direttamente o indirettamente, sempre più spesso legata.
L'attuazione del Piano Energetico Nazionale, che ha avuto luogo in Italia con l'emanazione della legge 10/91, ha dato origine ad una politica di incentivi per l'Uso Razionale dell'Energia. Tali incentivi, negli anni successivi, sono poi stati rinnovati con le Leggi Finanziarie. I finanziamenti previsti sono soprattutto di competenza regionale; in particolare l'articolo 12 della legge 537/93, ascrive alla gestione regionale i finanziamenti previsti dall'articolo 11 della citata legge 10/91.
Questo articolo prevede finanziamenti per impianti con potenze superiori a 10 MW termici o a 3 MW elettrici, relativamente a studi di fattibilità e progetti esecutivi di impianti civili e industriali o misti.
Anche la concessione e l'erogazione dei contributi previsti dagli articoli 8, 10 e 13 è delegata alle Regioni, che operano secondo direttive impartite dal Ministero dell'Industria (uniformità di criteri, procedure e modalità).
L'accesso ai finanziamenti può, comunque, essere richiesto dalle industrie anche tramite leggi comunitarie.
Infatti l'Unione Europea ha realizzato diversi programmi che tendono a promuovere l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili tra le quali, ovviamente, possiamo annoverare gli interventi di razionalizzazione energetica.
Questi programmi prevedono, infatti:
azioni pilota per creare o sviluppare le infrastrutture per lo sfruttamento delle energie rinnovabili.
azioni di promozione e diffusione.
azioni mirate per agevolare l'accesso ai mercati e favorire gli investimenti.
misure di controllo e di assistenza.
E' importante sottolineare infine, quanto, nell'ambito di questi programmi, la cooperazione internazionale sia un criterio assolutamente essenziale.
Metodologia di esecuzione del "check-up energetico operativo"
Il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO costituisce il primo contatto con i problemi energetici della P.M.I. e consente l'individuazione immediata delle aree più evidenti di possibili risparmi energetici.
Premessa indispensabile per ogni eventuale intervento energetico, il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO deve essere effettuato da personale qualificato che, previa una visita all'azienda, indica su moduli standard tutti i dati più importanti relativi alla produzione, distribuzione ed utilizzazione dell'energia, sia termica che elettrica.
La P.M.I., da parte sua, dovrà fornire la seguente documentazione:
"lay-out" dello stabilimento;
bollette E.N.E.L. di un anno;
fatture del combustibile utilizzato;
ogni altra notizia e documentazione ritenuta utile.
Sulla base di questi dati sarà possibile redigere una relazione conclusiva, nella quale verranno evidenziati alcuni elementi fondamentali, quali:
lo status energetico dell'azienda;
gli interventi energetici consigliati;
il costo dell'investimento per ogni singolo intervento;
il risparmio energetico ottenibile dalla applicazione di ogni intervento singolarmente considerato.
E' importante dire però, che i valori individuati risentono di un grado di approssimazione che può essere eliminato da successive verifiche.
E' evidente, comunque, che questo primo contatto permette di individuare immediatamente gli interventi a maggiore redditività e le relative modalità di realizzazione pratica, tutti elementi che rendono il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO estremamente fattivo e concreto.
La decisione della P.M.I., che potrà essere di proseguimento delle indagini o di diretta esecuzione degli interventi consigliati, viene in tal modo stimolata e facilitata.
Uso razionale dell'energia e RTAP
Nell'analizzare brevemente i principali tipi interventi energetici che più frequentemente devono essere operati in stabilimento, è necessario, in questa sede, sottolineare l'importanza della CONTABILITA' ENERGETICA.
Questa consiste in un rilevamento periodico e metodologicamente organico di dati energetici, che permetta di mantenere dinamicamente sotto controllo l'entità dei consumi energetici ed il loro discostarsi dalle condizioni ottimali.
Poter controllare e gestire un processo industriale significa non solo disporre di dati e di informazioni in tempo reale, ma significa anche mettere in gioco l'esperienza e la conoscenza del processo stesso. In realtà quindi si può controllare solo ciò che si conosce veramente a fondo.
E' infatti importante poter prevenire le situazioni di funzionamento critico in quanto così facendo è possibile mantenere, nel loro stato ottimale di funzionamento, sia il processo che le relative apparecchiature. Solo nel caso in cui si è in grado di evitare o ridurre al minimo gli effetti indesiderati legati al manifestarsi di situazioni critiche, è possibile parlare di un controllo del processo efficace ed efficiente.
Infatti un efficace sistema di controllo e di automazione, che interpreti fino in fondo le esigenze quotidiane della gestione di processo, deve essere in grado di utilizzare tutti i tipi di dati e di segnali on-line disponibili, nonché le informazioni quantitative e qualitative di processo, fornendo un valore aggiunto tangibile e un ritorno sull'investimento (ROI) che ne giustifica la validità dell'applicazione. Il raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di efficacia attraverso l'ottimizzazione delle risorse e dei consumi energetici, la continuità del controllo e la previsione degli eventi critici, sono possibili solo con il supporto di tecnologie basate sull'esperienza e sulla "conoscenza".
Si parla quindi di Monitoraggio "Consapevole" (Knowledge Based Monitoring), basato cioè sulla conoscenza, che esprime l'integrazione tra il monitoraggio dei dati di processo e l'applicazione di un corrispondente Modello di Conoscenza; quest'ultimo ci consente di trasformare l'insieme di dati acquisiti in informazioni esplicite e mirate agli obiettivi preposti.
In genere, l'acquisizione dati di un sistema di monitoraggio di tipo tradizionale, fornisce una grande quantità di misure ed allarmi, ma non fornisce all'operatore una spiegazione sulla causa dei guasti o una analisi "consapevole" della situazione, per suggerire le manovre più opportune.
Uno dei limiti tecnologici riguardanti la possibilità di garantire con continuità la qualità del servizio di monitoraggio e telecontrollo, dipende soprattutto dalla possibilità di rilevare in tempo reale, o meglio con anticipo, gli eventi di allarme (early warning), i trend di funzionamento ed i sintomi che spesso precedono il manifestarsi di eventi critici di processo e/o di esercizio. A tale scopo, è opportuno focalizzare le metodologie di indagine più appropriate, sia rispetto alla effettiva realtà impiantistica e di processo esistente, sia rispetto alla possibilità di prevenire possibili disfunzioni di processo.
Possono essere prese in considerazione metodologie di indagine on-line come l'applicazione di sistemi di controllo "basati sulla conoscenza", integrati alla tradizionale sensoristica di processo. In altri termini, il principio base a cui si è fatto riferimento nella scelta della tecnologia di controllo di processo è quello per cui ogni singolo dato acquisito possiede un contenuto informativo esplicito (ad esempio misura del pH e quindi, "acidità" o "basicità" di una soluzione acquosa) ed uno latente implicito (ad esempio "produzione di cattivi odori", "corrosione delle strutture", "depositi", ecc.) che si manifesta soltanto se correlato, mediante "ragionamento" (regole di conoscenza/esperienza) ad altri dati che contribuiscono a costituire ed avvalorare l'informazione conclusiva.
Ciò premesso, in generale un sistema di telecontrollo davvero efficace per il controllo continuo del processo, deve sempre avere la caratteristica di sfruttare in pieno il contenuto informativo residente nei dati acquisiti dai pochi sensori on-line che oggi è possibile reperire a costi accettabili sul mercato.
La possibilità di generare in tempo reale "informazioni" (e non solo dati), costituisce un importante vantaggio, nell'ambito dell'applicazione, sia per il monitoraggio del rischio e della sicurezza che per il risparmio energetico e l'ottimizzazione di processo.
E' proprio in quest'ottica di telegestione e telecontrollo che si inserisce RTAP (Real Time Application Platform) che non esaurisce quindi le proprie potenzialità in una semplice contabilità energetica.
Il problema energetico
Il settore energetico è da sempre elemento cruciale nell'economia di una nazione industrializzata. Il problema energetico si è evoluto in questi ultimi due secoli assumendo connotati sempre più specifici e delicati. L'enorme disponibilità di idrocarburi ha fossilizzato per decenni il mercato delle risorse primarie per la produzione di energia e ha scoraggiato la ricerca verso nuove risorse e per l'uso sapiente e oculato delle fonti tradizionali. La crisi petrolifera degli anni settanta, il problema ambientale accentuato in questi ultimi anni da modificazioni climatiche a livello mondiale, la "crisi" del nucleare, hanno sensibilizzato il mondo produttivo verso nuove soluzioni in campo energetico. Questi fatti hanno indirizzato negli ultimi anni la ricerca scientifica e tecnologica verso lo sfruttamento di nuove risorse primarie a minore impatto ambientale e l'incremento del risparmio energetico sulle fonti tradizionali.
L'uso razionale dell'energia può essere definito come quella operazione tecnologica con la quale si intende conseguire l'obiettivo di realizzare gli stessi prodotti o servizi (in quantità e qualità) con un minor consumo di energia primaria ed eventualmente con un maggior impegno di risorse d'altro tipo (capitale, lavoro, materiali, ecc.).
Questa definizione distingue l'uso razionale dell'energia dal sacrificio energetico, che è invece un'operazione economico-sociale con la quale si intende incentivare gli utenti (con la propaganda, con le tariffe, con il razionamento) a modificare le loro abitudini di consumo nel senso di soddisfare i propri bisogni finali con modalità che comportino minori consumi di energia. In questo caso quindi il servizio offerto è di qualità diversa.
Nell'uso razionale dell'energia si configura dunque un'operazione di riallocazione delle risorse volte ad ottenere una data finalità. Qualunque progetto ingegneristico è concettualmente riconducibile a questo luogo decisionale, in cui le varie soluzioni offerte dalla tecnologia si incontrano per confrontarsi fra loro, in termini di rese, di rendimenti e di costi specifici.
E' lasciato all'esperienza del progettista dare alle varie realizzazioni un assetto tale che per ciascuna di esse si abbia un dato consumo di energia ed un correlato consumo di strutture, consumi che si tradurranno poi, nei conti economici, in costi-energia e costi-capitale. Risparmiare energia comporterà, a parità di condizioni economiche, un maggiore costo capitale e viceversa. Per ogni situazione economica esisterà un rapporto ottimale fra questi due costi che darà luogo al conseguimento dello stesso risultato col minor onere monetario: in tempi di elevati costi dell'energia si cercherà di razionalizzare il consumo di energia e si abbonderà in oneri capitale e viceversa in tempi di energia a buon mercato rispetto al costo dei manufatti e del capitale. Queste considerazioni impongono al progettista un lavoro di analisi che può risultare delicato perché privo dell'assistenza e della guida di un'esperienza precedente. Questa, infatti, può non essere disponibile in quanto la variazione dei prezzi dell'energia può avvenire in maniera troppo rapida perché i vari adeguamenti tecnologici possano ricevere il confronto e la conferma da parte dei risultati ottenuti.
E' importante rilevare che gli interventi per la razionalizzazione dei consumi energetici hanno permesso di limitare lo spreco delle fonti energetiche convenzionali, senza comprimere lo sviluppo economico. Se fino al 1973, alla crescita del PIL corrispondeva una proporzionale crescita dei consumi di energia, a partire da tale anno si è riusciti "limitare" tali consumi anche se il PIL ha continuato a salire (vedi Figura 1).
Figura1 Confronto consumi energetici-P.I.L.
Proseguendo idealmente la curva dei consumi, mantenendola, cioè , parallela alla curva del PIL, e confrontandola con quella storica si ha la percezione dei notevoli risultati ottenuti mediante l'uso razionale delle fonti energetiche.
In definitiva si può considerare la voce "risparmio energetico e uso razionale dell'energia" come una vera fonte energetica alternativa, alla pari del sole, del vento e delle altre fonti. Purtroppo presenta anch'essa un limite massimo di sfruttamento e il suo raggiungimento diventa anche sempre più economicamente oneroso. Per esempio, nelle piccole e medie industrie si può arrivare a risparmiare il 20% del consumo energetico, mentre il 75-80% dei costi è incomprimibile.
Inizialmente gli interventi di razionalizzazione furono molto semplici, tanto erano macroscopici gli sprechi; passando il tempo, però, essi sono diventati via via più costosi e la loro dipendenza tecnica ed economica è fortemente dipendente dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio. Tuttavia però non possiamo non tener conto degli elevati costi ambientali: per minori investimenti economici di razionalizzazione energetica effettuati dalla PMI si hanno però maggiori costi ambientali con danni così all'intera collettività sociale.
Per non rinunciare ai benefici ambientali ottenibili, tali interventi di razionalizzazione energetica necessitano pertanto di incentivi pubblici, così da rendere economicamente convenienti per l'utente interventi di risparmio energetico e uso razionale dell'energia che non lo sarebbero in assenza di tali incentivi.
Le possibili forme di intervento sono rimaste, invece, fondamentalmente le stesse e sono:
la razionalizzazione degli usi finali
i miglioramenti tecnologici
i recuperi e risparmi energetici
la diversificazione energetica.
Elemento unificante delle varie politiche d'intervento è la necessità di una costante campagna di informazione e rieducazione per i cittadini, ma anche per i medi e grandi utenti.
Effettive possibiltà di risparmio energetico
Ciascun intervento di razionalizzazione energetica sul singolo utente si può scindere in due fasi principali:
una fase propositiva, in cui il problema energetico viene razionalizzato, sezionato ed illustrato nei suoi aspetti essenziali in una prospettiva più vicina a quella dell'utente che non a quella dell'operatore; questa fase propositiva è sviluppata metodologicamente a largo respiro, ossia con il fine di raggiungere il massimo numero di utenti.
una fase operativa in cui si applicano praticamente i suggerimenti indicati nella fase propositiva.
L'elemento di partenza irrinunciabile della fase operativa è il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO, che si è rivelato, dopo anni di esperienza condotte nel settore, come l'inevitabile passo iniziale di ogni corretto intervento in campo energetico.
Tale CHECK-UP consiste in una breve indagine energetica da svolgersi presso l'utente che permetta di rilevare le possibili ed attuali aree d'intervento di risparmio energetico.
Nell'analizzare le effettive possibilità di risparmio energetico nelle piccole e medie industrie è importante premettere due considerazioni a carattere generale:
risparmiare energia è possibile ed è, in linea di massima molto più conveniente di quanto generalmente non si creda.
risparmiare energia non significa necessariamente investire ingenti risorse finanziarie.
Infatti, nel collegare il risparmio energetico all'investimento, è opportuno considerare tre livelli di intervento:
LIVELLO A: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento nullo.
LIVELLO B: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento ammortizzabile nel breve periodo.
LIVELLO C: risparmio energetico ottenibile con intervento ad investimento ammortizzabile .
Molti operatori economici e spesso anche gli enti statali hanno minimizzato l'importanza del risparmio energetico conseguibile al LIVELLO A, trascurando le esperienze positive realizzate in questa direzione dagli altri paesi europei e nord-americani.
Eppure è stata ampiamente dimostrata la possibilità di ottenere assai spesso risparmi energetici che vanno dal 5% al 20%, senza consistenti investimenti, ma solo con attenti e programmati interventi di manutenzione e controllo (è in quest'ottica che si inserisce RTAP, come vedremo meglio in seguito) e con un'assidua politica di educazione energetica del personale.
Anche da un punto di vista strettamente logico, è assurdo programmare investimenti nel settore del risparmio energetico, vale a dire salire ai LIVELLI B e C, senza aver prima attivato tutte le possibilità offerte dal LIVELLO A e soprattutto senza aver prima determinato i consumi energetici effettivi, in genere ben diversi da quelli, per così dire apparenti.
In generale, per conoscere gli effettivi consumi di energia, distinti da quelli apparenti che lo stabilimento registra senza alcuna razionalizzazione, vale a dire per individuare i minimi consumi possibili, è necessario valutare l'effetto che può scaturire dall'applicazione di tutte le possibilità di intervento a basso investimento. Occorre dunque, innanzi tutto, individuare l'effettiva situazione energetica dell'azienda, visualizzando le aree di spreco attraverso, appunto, il citato CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO. In tal modo si determinano, peraltro, anche i risparmi energetici che richiedono investimenti ai LIVELLI B e C.
Aspetti legislativi in materia d'uso razionale dell'energia
Da un punto di vista legislativo la voce uso razionale dell'energia si può considerare come una vera e propria fonte energetica. Le norme in materia fanno riferimento principalmente alle leggi Nº9 del 9 gennaio 1991 e Nº10 sempre del 9 gennaio 1991.
La legge Nº9 è così intitolata: "Norme per l'attuazione del nuovo piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali".
La legge Nº10 è così intitolata: "Norme per l'attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia". L'Articolo 1 definisce finalità e ambito di applicazione della legge, favorendo e incentivando:
L'uso razionale dell'energia.
ll contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell'utilizzo di manufatti.
L'utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia.
La riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.
La sostituzione degli impianti nei settori a più elevata intensità energetica.
Ai fini della citata legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate le seguenti:
Sole.
Vento.
Energia idraulica.
Risorse geotermiche.
Maree e moto ondoso.
Trasformazione di rifiuti organici, inorganici e vegetali.
Sono considerate, inoltre, fonti di energia assimilate alle rinnovabili le seguenti:
La cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e calore.
Il calore recuperabile dai fumi di scarico, impianti termici, elettrici e da processi industriali.
I risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti.
Accesso ai finanziamenti
Come si è già sottolineato, uno dei principali ostacoli alla diffusione capillare degli interventi di razionalizzazione energetica nelle P.M.I. è rappresentato dalla diffidenza con cui queste guardano alla possibilità di operare investimenti nel settore, ne d'altra parte il costo del denaro è oggi tale da incentivare simili pratiche.
E' perciò importante sottolineare il fatto che esistono molteplici fonti di finanziamento agevolato cui possono attingere le P.M.I. che decidano di investire nel settore del risparmio energetico e, più in generale, della innovazione tecnologica, che ad esso è, direttamente o indirettamente, sempre più spesso legata.
L'attuazione del Piano Energetico Nazionale, che ha avuto luogo in Italia con l'emanazione della legge 10/91, ha dato origine ad una politica di incentivi per l'Uso Razionale dell'Energia. Tali incentivi, negli anni successivi, sono poi stati rinnovati con le Leggi Finanziarie. I finanziamenti previsti sono soprattutto di competenza regionale; in particolare l'articolo 12 della legge 537/93, ascrive alla gestione regionale i finanziamenti previsti dall'articolo 11 della citata legge 10/91.
Questo articolo prevede finanziamenti per impianti con potenze superiori a 10 MW termici o a 3 MW elettrici, relativamente a studi di fattibilità e progetti esecutivi di impianti civili e industriali o misti.
Anche la concessione e l'erogazione dei contributi previsti dagli articoli 8, 10 e 13 è delegata alle Regioni, che operano secondo direttive impartite dal Ministero dell'Industria (uniformità di criteri, procedure e modalità).
L'accesso ai finanziamenti può, comunque, essere richiesto dalle industrie anche tramite leggi comunitarie.
Infatti l'Unione Europea ha realizzato diversi programmi che tendono a promuovere l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili tra le quali, ovviamente, possiamo annoverare gli interventi di razionalizzazione energetica.
Questi programmi prevedono, infatti:
azioni pilota per creare o sviluppare le infrastrutture per lo sfruttamento delle energie rinnovabili.
azioni di promozione e diffusione.
azioni mirate per agevolare l'accesso ai mercati e favorire gli investimenti.
misure di controllo e di assistenza.
E' importante sottolineare infine, quanto, nell'ambito di questi programmi, la cooperazione internazionale sia un criterio assolutamente essenziale.
Metodologia di esecuzione del "check-up energetico operativo"
Il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO costituisce il primo contatto con i problemi energetici della P.M.I. e consente l'individuazione immediata delle aree più evidenti di possibili risparmi energetici.
Premessa indispensabile per ogni eventuale intervento energetico, il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO deve essere effettuato da personale qualificato che, previa una visita all'azienda, indica su moduli standard tutti i dati più importanti relativi alla produzione, distribuzione ed utilizzazione dell'energia, sia termica che elettrica.
La P.M.I., da parte sua, dovrà fornire la seguente documentazione:
"lay-out" dello stabilimento;
bollette E.N.E.L. di un anno;
fatture del combustibile utilizzato;
ogni altra notizia e documentazione ritenuta utile.
Sulla base di questi dati sarà possibile redigere una relazione conclusiva, nella quale verranno evidenziati alcuni elementi fondamentali, quali:
lo status energetico dell'azienda;
gli interventi energetici consigliati;
il costo dell'investimento per ogni singolo intervento;
il risparmio energetico ottenibile dalla applicazione di ogni intervento singolarmente considerato.
E' importante dire però, che i valori individuati risentono di un grado di approssimazione che può essere eliminato da successive verifiche.
E' evidente, comunque, che questo primo contatto permette di individuare immediatamente gli interventi a maggiore redditività e le relative modalità di realizzazione pratica, tutti elementi che rendono il CHECK-UP ENERGETICO OPERATIVO estremamente fattivo e concreto.
La decisione della P.M.I., che potrà essere di proseguimento delle indagini o di diretta esecuzione degli interventi consigliati, viene in tal modo stimolata e facilitata.
Uso razionale dell'energia e RTAP
Nell'analizzare brevemente i principali tipi interventi energetici che più frequentemente devono essere operati in stabilimento, è necessario, in questa sede, sottolineare l'importanza della CONTABILITA' ENERGETICA.
Questa consiste in un rilevamento periodico e metodologicamente organico di dati energetici, che permetta di mantenere dinamicamente sotto controllo l'entità dei consumi energetici ed il loro discostarsi dalle condizioni ottimali.
Poter controllare e gestire un processo industriale significa non solo disporre di dati e di informazioni in tempo reale, ma significa anche mettere in gioco l'esperienza e la conoscenza del processo stesso. In realtà quindi si può controllare solo ciò che si conosce veramente a fondo.
E' infatti importante poter prevenire le situazioni di funzionamento critico in quanto così facendo è possibile mantenere, nel loro stato ottimale di funzionamento, sia il processo che le relative apparecchiature. Solo nel caso in cui si è in grado di evitare o ridurre al minimo gli effetti indesiderati legati al manifestarsi di situazioni critiche, è possibile parlare di un controllo del processo efficace ed efficiente.
Infatti un efficace sistema di controllo e di automazione, che interpreti fino in fondo le esigenze quotidiane della gestione di processo, deve essere in grado di utilizzare tutti i tipi di dati e di segnali on-line disponibili, nonché le informazioni quantitative e qualitative di processo, fornendo un valore aggiunto tangibile e un ritorno sull'investimento (ROI) che ne giustifica la validità dell'applicazione. Il raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di efficacia attraverso l'ottimizzazione delle risorse e dei consumi energetici, la continuità del controllo e la previsione degli eventi critici, sono possibili solo con il supporto di tecnologie basate sull'esperienza e sulla "conoscenza".
Si parla quindi di Monitoraggio "Consapevole" (Knowledge Based Monitoring), basato cioè sulla conoscenza, che esprime l'integrazione tra il monitoraggio dei dati di processo e l'applicazione di un corrispondente Modello di Conoscenza; quest'ultimo ci consente di trasformare l'insieme di dati acquisiti in informazioni esplicite e mirate agli obiettivi preposti.
In genere, l'acquisizione dati di un sistema di monitoraggio di tipo tradizionale, fornisce una grande quantità di misure ed allarmi, ma non fornisce all'operatore una spiegazione sulla causa dei guasti o una analisi "consapevole" della situazione, per suggerire le manovre più opportune.
Uno dei limiti tecnologici riguardanti la possibilità di garantire con continuità la qualità del servizio di monitoraggio e telecontrollo, dipende soprattutto dalla possibilità di rilevare in tempo reale, o meglio con anticipo, gli eventi di allarme (early warning), i trend di funzionamento ed i sintomi che spesso precedono il manifestarsi di eventi critici di processo e/o di esercizio. A tale scopo, è opportuno focalizzare le metodologie di indagine più appropriate, sia rispetto alla effettiva realtà impiantistica e di processo esistente, sia rispetto alla possibilità di prevenire possibili disfunzioni di processo.
Possono essere prese in considerazione metodologie di indagine on-line come l'applicazione di sistemi di controllo "basati sulla conoscenza", integrati alla tradizionale sensoristica di processo. In altri termini, il principio base a cui si è fatto riferimento nella scelta della tecnologia di controllo di processo è quello per cui ogni singolo dato acquisito possiede un contenuto informativo esplicito (ad esempio misura del pH e quindi, "acidità" o "basicità" di una soluzione acquosa) ed uno latente implicito (ad esempio "produzione di cattivi odori", "corrosione delle strutture", "depositi", ecc.) che si manifesta soltanto se correlato, mediante "ragionamento" (regole di conoscenza/esperienza) ad altri dati che contribuiscono a costituire ed avvalorare l'informazione conclusiva.
Ciò premesso, in generale un sistema di telecontrollo davvero efficace per il controllo continuo del processo, deve sempre avere la caratteristica di sfruttare in pieno il contenuto informativo residente nei dati acquisiti dai pochi sensori on-line che oggi è possibile reperire a costi accettabili sul mercato.
La possibilità di generare in tempo reale "informazioni" (e non solo dati), costituisce un importante vantaggio, nell'ambito dell'applicazione, sia per il monitoraggio del rischio e della sicurezza che per il risparmio energetico e l'ottimizzazione di processo.
E' proprio in quest'ottica di telegestione e telecontrollo che si inserisce RTAP (Real Time Application Platform) che non esaurisce quindi le proprie potenzialità in una semplice contabilità energetica.
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Re: Energia Nucleare
Reattori a gas ad altissima temperatura (Very High Temperature Gas Reactors - VHTR)
Sono moderati a grafite e raffreddati ad elio. Il nocciolo può essere realizzato con blocchi prismatici, come il giapponese HTTR e il GTMHR in sperimentazione presso General Atomics, o può essere del tipo “pebble bed”, come il cinese HTR- 10 e il PBMR sudafricano. La taglia prescelta è di 600 MW termici. La temperatura raggiunta di 1000°C permette la produzione termochimica di idrogeno tramite uno scambiatore di calore intermedio, con cogenerazione di energia elettrica o utilizzazione del gas in una turbina a gas ad alto rendimento. Il rendimento è maggiore del 50% e la produzione di idrogeno supera le 200 tonnellate al giorno. Le alte temperature raggiunte prescrivono l’uso di materiali speciali ad alta resistenza.
Sono moderati a grafite e raffreddati ad elio. Il nocciolo può essere realizzato con blocchi prismatici, come il giapponese HTTR e il GTMHR in sperimentazione presso General Atomics, o può essere del tipo “pebble bed”, come il cinese HTR- 10 e il PBMR sudafricano. La taglia prescelta è di 600 MW termici. La temperatura raggiunta di 1000°C permette la produzione termochimica di idrogeno tramite uno scambiatore di calore intermedio, con cogenerazione di energia elettrica o utilizzazione del gas in una turbina a gas ad alto rendimento. Il rendimento è maggiore del 50% e la produzione di idrogeno supera le 200 tonnellate al giorno. Le alte temperature raggiunte prescrivono l’uso di materiali speciali ad alta resistenza.
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Re: Energia Nucleare
Reattori a sale fuso (Molten Salt Reactors - MSR)
Il combustibile uranio è sciolto nel refrigerante fluoruro di sodio che circola nel nocciolo attraverso i canali di grafite: si ottiene così un effetto di moderazione e uno spettro neutronico epitermico. La temperatura raggiunta dal refrigerante è di 700°C a bassa pressione (circa 5 bar), con prospettiva di salire a 800°C. E’ possibile la produzione di idrogeno. Per gli impianti di produzione di energia elettrica è previsto un refrigerante secondario. La potenza elettrica di riferimento è di circa 1000 MW. Le sperimentazioni attuali si sono concentrate sull’utilizzo, come refrigerante, del fluoruro di litio edi berillio e, come combustibile, di torio in soluzione e di U233. Le caratteristiche più interessanti di questo reattore sono la produzione di scorie radioattive che contengono solo prodotti di fissione e quindi di vita più breve, l’esigua produzione di materialeutilizzabile a scopi militari (poiché il plutonio prodotto è essenzialmente l’isotopo Pu242), il ridotto consumo di combustibile (nel prototipo francese occorrono 50 kg di torio e 50 kg di U238 per produrre un miliardo di kWh) e l’aumentata sicurezza del sistema di raffreddamento passivo.
Il combustibile uranio è sciolto nel refrigerante fluoruro di sodio che circola nel nocciolo attraverso i canali di grafite: si ottiene così un effetto di moderazione e uno spettro neutronico epitermico. La temperatura raggiunta dal refrigerante è di 700°C a bassa pressione (circa 5 bar), con prospettiva di salire a 800°C. E’ possibile la produzione di idrogeno. Per gli impianti di produzione di energia elettrica è previsto un refrigerante secondario. La potenza elettrica di riferimento è di circa 1000 MW. Le sperimentazioni attuali si sono concentrate sull’utilizzo, come refrigerante, del fluoruro di litio edi berillio e, come combustibile, di torio in soluzione e di U233. Le caratteristiche più interessanti di questo reattore sono la produzione di scorie radioattive che contengono solo prodotti di fissione e quindi di vita più breve, l’esigua produzione di materialeutilizzabile a scopi militari (poiché il plutonio prodotto è essenzialmente l’isotopo Pu242), il ridotto consumo di combustibile (nel prototipo francese occorrono 50 kg di torio e 50 kg di U238 per produrre un miliardo di kWh) e l’aumentata sicurezza del sistema di raffreddamento passivo.
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Re: Energia Nucleare
Reattori veloci raffreddati al piombo (Lead-cooled Fast Reactors -LFR)
Il raffreddamento con metalli liquidi (Pb o Pb-Bi) è ottenuto per convezione naturale. Il combustibile è uranio impoverito metallico o allo stato di nitruro. E’ prevista un’ampia gamma di potenze: dalla taglia di 50÷150 MW per piccole reti (senza necessità di ricarica per 15-20 anni) agli impianti modulari da 300÷400 MW, fino ai grandi impianti singoli da 1200 MW. Temperature di funzionamento di circa 550°C sono già raggiungibili, ma si prevede di salire a 800°C con l’utilizzo di adeguati materiali e ciò permetterebbe la produzione termochimica di idrogeno. Questo tipo di reattore, oltre alla produzione di energia elettrica e di idrogeno, è rivolto principalmente alla gestione degli attinidi, con peculiari caratteristiche di resistenza alla proliferazione e di protezione fisica, grazie ad un nocciolo che può essere anche a lunghissima vita (fino a 30 anni).
Il raffreddamento con metalli liquidi (Pb o Pb-Bi) è ottenuto per convezione naturale. Il combustibile è uranio impoverito metallico o allo stato di nitruro. E’ prevista un’ampia gamma di potenze: dalla taglia di 50÷150 MW per piccole reti (senza necessità di ricarica per 15-20 anni) agli impianti modulari da 300÷400 MW, fino ai grandi impianti singoli da 1200 MW. Temperature di funzionamento di circa 550°C sono già raggiungibili, ma si prevede di salire a 800°C con l’utilizzo di adeguati materiali e ciò permetterebbe la produzione termochimica di idrogeno. Questo tipo di reattore, oltre alla produzione di energia elettrica e di idrogeno, è rivolto principalmente alla gestione degli attinidi, con peculiari caratteristiche di resistenza alla proliferazione e di protezione fisica, grazie ad un nocciolo che può essere anche a lunghissima vita (fino a 30 anni).
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Re: Energia Nucleare
Altro che Uranio! Un libro degli anni '50 rilancia una tecnologia più sicura ed economica mandata in archivio dai militari e dalla guerra fredda. Ora la "Thorium Fever" (la febbre del Torio), dopo aver conquistato la comunità scientifica grazie a un blog-laboratorio, contagia anche la Russia, l'India e la Cina.
"Fluid Fuel Reactors" è un libro pubblicato nel 1958. Un denso resoconto in 978 pagine delle ricerche condotte da un "team" guidato da Alvin Weinberg presso lo Oak Ridge National Lab. Le ricerche riguardavano la applicazione di un elemento chiamato Torio per la produzione di energia nucleare. Questo elemento lascia una quantità ridottissima di scorie, che hanno bisogno di essere stoccate solo per poche centinaia di anni. E non per centinaia di migliaia.
Il Torio, inoltre, è abbondante in natura e virtualmente inesauribile. È anche una delle poche sostanze che agiscono come "fertilizzante termico": dalla sua scissione, cioè, si crea una quantità di combustibile sufficiente a sostenere ad alte temperature un'illimitata reazione a catena. In più, è praticamente impossibile che i sottoprodotti di un reattore a Torio vengano utilizzati da malintenzionati per il confezionamento di ordigni nucleari.
Dall'inizio degli anni '50 fino ai primi anni '60, Weinberg e i suoi uomini hanno provato con centinaia di test l'efficacia dei reattori a Torio, ma sono arrivati a un punto morto: ingabbiati nella guerra fredda contro un'Unione Sovietica fornita di arsenale nucleare, gli Usa hanno optato per la costruzione di reattori a Uranio; anche perché producono Plutonio che può essere raffinato come materiale bellico.
Questa scelta ha segnato per quattro decenni la strada dell'industria del nucleare, e lo sfruttamento del Torio è diventato uno dei grandi "e se..." della tecnologia del ventesimo secolo.
Oggi si parla del Torio, tra l'altro, in un blog assai popolare: Energy from Thorium. Attorno al forum di questo sito si è raccolta una comunità di scienziati che discutono con ardore del futuro del Torio. Il sito (che linka perfino i pdf degli archivi di Oak Ridge) è diventato una specie di progetto open source finalizzato alla resurrezione - con nuovi approcci - di tecnologie energetiche defunte da tempo.
Ma anche l'industria torna a guardare al Torio e vari governi, da Dubai a Pechino, stanno finanziando ricerche. L'India ci scommette molto e anche negli Stati Uniti il concetto di energia nucleare senza scorie ha ovviamente il suo appeal politico. La minaccia del riscaldamento globale ha dato origine a una richiesta urgente di energia elettrica carbon-free, ma le migliaia di tonnellate di scorie tossiche accumulate qui e là per il mondo (52 solo negli Usa) rendono meno attraente il nucleare tradizionale.
Anche Barak Obama ha espresso il suo appoggio a una rinascita del nucleare, e si stanno studiando diverse alternative per il futuro: da centrali convenzionali, ma ridotte nelle dimensioni, a reattori "pebble bed", letteralmente "letto di ciottoli", nei quali il combustibile nucleare è inserito in minuscoli ciottoli di grafite pirolitica, con una riduzione del rischio di fusione del reattore.
Tuttavia, si tratta ancora di tecnologie basate sull'uranio, afflitte dagli stessi problemi che hanno complicato la vita dell'industria nucleare fin dagli anni '60. Solo il Torio, sostengono Sorensen (il gestore del blog) e la sua banda di rivoluzionari, può traghettare il mondo verso una nuova era di energia sicura, pulita, a basso costo.
Il Torio deve il suo nome a Thor, dio nordico del tuono. È un metallo lucido, bianco argenteo, solo leggermente radioattivo: se ne potrebbe tenere in tasca un pezzo senza danni. Nella tavola periodica degli elementi si trova nella fila in basso, insieme alle altre sostanze dense e radioattive - inclusi uranio e plutonio - note come attinoidi. Gli attinoidi sono densi perché i loro nuclei contengono un alto numero di neutroni e protoni, ed è lo strano comportamento di quei nuclei ad averne fatto oggetti delle meraviglie.
A intervalli di tempo che possono variare dal millisecondo alle centinaia di migliaia di anni, gli attinoidi rilasciano delle particelle e decadono in elementi più stabili. Se si comprime un numero sufficiente di atomi di determinati attinoidi, i nuclei erompono in un poderoso rilascio di energia. Gli attinoidi sono gli unici elementi che si spezzano in questo modo, e se le collisioni sono incontrollate si aprono i cancelli dell'inferno: un'esplosione nucleare. Se però si riescono a pilotare le condizioni nelle quali si verificano queste reazioni - sia controllando il numero di neutroni vaganti, sia regolando la temperatura, come si fa nel nocciolo di un reattore nucleare - si ottiene dell'energia utile.
Facendo passare dell'acqua accanto al materiale radioattivo, questa si trasforma in vapore acque in grado di far girare una turbina che produce elettricità.
Attualmente è l'Uranio l'attinoide scelto dall'industria: viene usato (talvolta con un pò di Plutonio) nel 100 per cento dei reattori commerciali del mondo. Ma l'Uranio è un combustibile problematico. Nella maggior parte dei reattori, per sostenere una reazione a catena ci vuole il rarissimo Uranio-235, che deve essere purificato, o arricchito, a partire dall'U-238, di gran lunga più comune.
I reattori si lasciano alle spalle, tra l'altro, il Plutonuio-239, a sua volta radioattivo (e usato per la produzione di ordigni nucleari). Con i reattori convenzionali a Uranio, se qualcosa va male, la campagna circostante fa un bel bagno di radioattività (pensiamo a Chernobyl). E anche se tutto fila liscio, restano le scorie tossiche.
Quando Alvin Weinberg viene messo a capo di Oak Ridge, nel 1955, capisce che con il Torio si possono risolvere molti problemi. Questo attinoide abbonda in natura - solo gli Stati Uniti ne hanno almeno 175mila tonnellate -, non richiede una lavorazione dispendiosa e, come combustibile nucleare, è straordinariamente efficiente. Mentre decade nel nocciolo di un reattore, i suoi sottoprodotti danno origine a un numero di neutroni maggiore, per ogni collisione, rispetto a un combustibile convenzionale. Maggiore è il numero di neutroni per collisione, maggiore è l'energia generata, minore è la quantità di combustibile usato nel complesso, e di spazzatura radioattiva che ti resta sul groppone.
Weinberg capisce anche di poter usare il Torio in un nuovo tipo di reattore che non presenta rischi di meltdown, la fusione del reattore. Il progetto si basa su una scoperta di laboratorio: il Torio si dissolve nei fluoruri liquidi caldi, una zuppa di fissione che può essere immessa dentro dei tubi nel nocciolo del reattore dove avviene la reazione nucleare a catena. Questo sistema fa sì che il reattore si autoregoli: quando la zuppa si scalda troppo, aumenta di volume e fuoriesce dai tubi - rallentando la fissione e scongiurando un altra Chernobyl. Per questo metodo qualunque attinoide va bene, ma il Torio è particolarmente adatto, essendo molto efficiente alle alte temperature in cui si verifica la fissione.
Nel 1965, Weinberg e la sua squadra costruiscono un reattore funzionante in cui i sottoprodotti del Torio sono sospesi in un bagno salino. Lo studioso dedica il resto dei suoi 18 anni a capo di Oak Ridge alla causa del Torio come cuore dell'energia atomica nazionale. Ma la missione è un fallimento. I reattori a Uranio ci sono già, e Hyman Rickover, che nei fatti dirige il programma nucleare americano, vuole il plutonio per costruire bombe, e il Plutonio si ricava dalle centrali nucleari a uranio. Weinberg è sempre più osteggiato, e nel 1973 è costretto ad andarsene.
Proprio quell'anno i paesi arabi tagliano i rifornimenti petroliferi al mondo occidentale, innescando una serie di conflitti che ancora oggi imperversano nel mondo. Sempre nel 1973 l'industria nucleare americana sottoscrive contratti per la costruzione di 41 centrali nucleari - una cifra record - a uranio e il progetto di ricerca sul Torio tramonta, e con esso la prospettiva realistica di un'età nucleare in cui l'energia elettrica sarebbe stata così economica da non meritare i contatori, con centrali nucleari pulite e sicure sparse nel verde della campagna.
Quando Sorensen e i suoi amici cominciano ad approfondire questa storia, scoprono non solo un combustibile alternativo, ma anche il design del reattore. Utilizzando quello schema la squadra di Energy from Thorium si mette a lavorare al progetto di un nuovo reattore con fluoruro di Torio liquido, o Lftr (si pronuncia "lifter"), che in base alle stime di Sorensen e altri sarebbe più efficiente all'incirca del 50 per cento rispetto agli attuali reattori ad acqua leggera che utilizzano l'uranio. Se tutte le centrali nucleari americane potessero essere convertite nel corso di una notte, e trasformate in sistemi Lftr, le riserve di torio esistenti potrebbero assicurare l'energia necessaria per circa un millennio.
Fuori dagli Usa il messaggio viene recepito. In Francia, dove il 75 per cento dell'energia elettrica è frutto del nucleare, il Laboratoire de Physique Subatomique et de Cosmologie ha costruito varianti del modello di reattori a sali fusi di Weinberg, per vedere se si riesce a farle lavorare in modo efficace. La più grande fonte mondiale di Torio, l'India, non ha ancora reattori commerciali che lo utilizzino ma ha annunciato piani per accrescere il suo potenziale di energia nucleare: ora nel paese il fabbisogno energetico è coperto solo al 9 per cento dal nucleare, ma il governo si aspetta che entro il 2050 si arrivi al 25 per cento e che il Torio ne generi una larga parte.
La Cina pianifica di costruire nel decennio a venire decine di reattori nucleari e ha ospitato lo scorso ottobre un'importante conferenza sul Torio. La repubblica popolare ha recentemente ordinato ai raffinatori di minerali di mettere da parte il Torio, in modo da poterlo utilizzare per la produzione di energia nucleare.
Negli Stati Uniti, il concetto di Lftr sta prendendo piede, anche se più lentamente. Sorensen e altri lo promuovono immancabilmente alle conferenze energetiche. Il celebre climatologo James Hansen ha specificamente citato il Torio come una fonte potenziale di combustibile in una "Lettera aperta a Obama", scritta dopo le elezioni. E anche le istituzioni si stanno dando da fare. Almeno tre progetti di legge legati al Torio girano per le stanze del Campidoglio di Washington. «Non mi risulta che ci sarebbe nulla di più benefico per il paese, dal punto di vista di un'energia sicura per l'ambiente, dell'energia nucleare fornita dal Torio», dice Orrin Hatch, senatore dello Utah che sta cercando fondi per i 250 milioni di dollari richiesti dal Thorium Energy Independence and Security Act.
Sfortunatamente 250 milioni di dollari non risolveranno il problema. Le stime, anche le più basse, per la costruzione di un solo reattore a sali fusi sono molto superiori a quella cifra. Saranno necessari investimenti ingenti per far diventare il Torio finanziariamente appetibile e far sì che i signori dell'energia nucleare si convincano a gettar via una base già esistente di reattori convenzionali.
«Quello che abbiamo ora funziona abbastanza bene», dice John Rowe, amministratore delegato di Exelon, compagnia che possiede il più cospicuo portfolio di reattori nucleari, «e funzionerà bene anche per quel futuro che siamo in grado di prevedere».
I critici fanno notare che il maggiore dei vantaggi del Torio - la sua grande efficienza - in realtà presenta anche dei rischi: la reazione continua molto a lungo, quindi il combustibile necessita di contenitori speciali assai durevoli e resistenti alla adesività dei sali. La combinazione tra alcune leghe resistenti alla corrosione e la grafite sembra soddisfare questi requisiti, ma il sistema deve ancora essere testato sulla distanza dei decenni.
I Lftr non devono affrontare solo problemi di costruzione, ma anche seri problemi di percezione. Per alcuni ingegneri nucleari nucleari, un Lftr è un pochino... disturbante. È un sistema caotico del tutto privo di quelle barre di controllo e di quelle torri di raffreddamento, monitorate accuratamente, su cui l'industria nucleare fonda le sue pretese di sicurezza.
Un reattore convenzionale, d'altra parte, è caratterizzato da una conceziozione ingegneristica rigorosa come quella di un jet da combattimento. Ma, soprattutto, gli americani hanno attenuato ma non ancora archiviato lo scetticismo verso tutto ciò che ha a che fare con il nucleare.
Così, se è improbabile che le aziende americane si convertano dando vita a una nuova generazione di reattori a Torio, una strategia praticabile sembra quella di usare il Torio negli impianti nucleari già esistenti, e si sta già lavorando in questa direzione grazie a una compagnia americana che opera in Russia.
L'arsenale nucleare sovietico è stato costruito in gran parte all'Istituto Kurchatov di Mosca. Alla fine degli anni '80, mentre l'economia sovietica stava andando a gambe per aria, gli scienziati del Kurchatov si trovarono costretti a lavorare con le muffole, per non gelarsi le mani nei laboratori non più riscaldati. Ma a metà degli anni '90 comparve sulla scena un salvatore: un'azienda della Virginia che si chiamava Thorium Power.
La Thorium Power - poi ribattezzata Lightbridge - è stata fondata dal fisico nucleare Alvin Radkowsky e sta cercando di commercializzare una tecnologia che rimpiazzerà l'uranio con il Torio, all'interno di reattori convenzionali. Dal 1950 al 1972, Radkowsky è stato a capo della squadra che progettava reattori per le navi e i sottomarini della Marina militare, e nel 1977 il colosso delle costruzioni elettronucleari Westinghouse ha aperto un reattore messo a punto da lui con un nocciolo di Uranio e Torio. Il reattore ha funzionato per cinque anni, fino al termine dell'esperimento. Radkowksy ha fondato la sua azienda nel 1992 con i fondi dell'Initiative for Proliferation Prevention Program, essenzialmente un tentativo americano di dissuadere i poco amichevoli ex scienziati bellici sovietici dall'unirsi ad altre squadre. Il reattore progettato dalla Lightbridge è noto come "seme-e-mantello". Il suo nocciolo consiste di un seme di barre di Uranio arricchito circondato da un mantello di barre di ossido di Torio mischiato con ossido di Uranio. Questo garantisce una reazione più sicura e durevole, rispetto alle barre di solo Uranio. Produce anche una quantità inferiore di scorie, oltretutto inutilizzabili per scopi militari.
L'amministratore delegato Seth Grae pensa che sia più conveniente convertire i reattori esistenti che costruirne di nuovi e, con una metafora automobilistica, spiega: «Non dobbiamo cambiare i motori o costruire delle nuove pompe di benzina».
Grae parla da Abu Dhabi, dove ha contratti per parecchi milioni di dollari, per consulenze sui piani energetici nucleari degli Emirati Arabi Uniti. Nell'agosto 2009, Lightbridge ha firmato un accordo con l'azienda francese Areva, il più grosso produttore di energia nucleare del mondo, per investigare la possibilità di combustibili nucleari alternativi. Lightbridge ha lottato per costruire un modello economico convincente. Ora, dice Grae, l'azienda ha abbastanza introiti per commercializzare il suo sistema seme-e-mantello. Ma occorre l'approvazione dell'autorità americana Us Nuclear Regulatory Commission, che potrebbe non essere facile da ottenere perché la struttura è stata sviluppata e testata nei reattori russi. Poi c'è la questione non banale di convincere le aziende americane. Il seme-e-mantello non solo deve funzionare, deve anche portare un vantaggio economico significativo.
Per Sorensen, mettere il Torio in un reattore convenzionale è come mettere del biocarburante nel serbatoio di un Suv. Ma riconosce che il modello della Lightbridge ha la potenzialità di instradare il paese verso un futuro nucleare più verde e più sicuro. «Il vero nemico è il carbone», dice. «Voglio combatterlo con i Lftr, che sono come mitragliatrici, invece che con i reattori ad acqua leggera, che sono come baionette».
l battaglione del Torio è sparuto, ma - come dimostra la fisica nucleare - piccole forze possono produrre grandi effetti.
"Fluid Fuel Reactors" è un libro pubblicato nel 1958. Un denso resoconto in 978 pagine delle ricerche condotte da un "team" guidato da Alvin Weinberg presso lo Oak Ridge National Lab. Le ricerche riguardavano la applicazione di un elemento chiamato Torio per la produzione di energia nucleare. Questo elemento lascia una quantità ridottissima di scorie, che hanno bisogno di essere stoccate solo per poche centinaia di anni. E non per centinaia di migliaia.
Il Torio, inoltre, è abbondante in natura e virtualmente inesauribile. È anche una delle poche sostanze che agiscono come "fertilizzante termico": dalla sua scissione, cioè, si crea una quantità di combustibile sufficiente a sostenere ad alte temperature un'illimitata reazione a catena. In più, è praticamente impossibile che i sottoprodotti di un reattore a Torio vengano utilizzati da malintenzionati per il confezionamento di ordigni nucleari.
Dall'inizio degli anni '50 fino ai primi anni '60, Weinberg e i suoi uomini hanno provato con centinaia di test l'efficacia dei reattori a Torio, ma sono arrivati a un punto morto: ingabbiati nella guerra fredda contro un'Unione Sovietica fornita di arsenale nucleare, gli Usa hanno optato per la costruzione di reattori a Uranio; anche perché producono Plutonio che può essere raffinato come materiale bellico.
Questa scelta ha segnato per quattro decenni la strada dell'industria del nucleare, e lo sfruttamento del Torio è diventato uno dei grandi "e se..." della tecnologia del ventesimo secolo.
Oggi si parla del Torio, tra l'altro, in un blog assai popolare: Energy from Thorium. Attorno al forum di questo sito si è raccolta una comunità di scienziati che discutono con ardore del futuro del Torio. Il sito (che linka perfino i pdf degli archivi di Oak Ridge) è diventato una specie di progetto open source finalizzato alla resurrezione - con nuovi approcci - di tecnologie energetiche defunte da tempo.
Ma anche l'industria torna a guardare al Torio e vari governi, da Dubai a Pechino, stanno finanziando ricerche. L'India ci scommette molto e anche negli Stati Uniti il concetto di energia nucleare senza scorie ha ovviamente il suo appeal politico. La minaccia del riscaldamento globale ha dato origine a una richiesta urgente di energia elettrica carbon-free, ma le migliaia di tonnellate di scorie tossiche accumulate qui e là per il mondo (52 solo negli Usa) rendono meno attraente il nucleare tradizionale.
Anche Barak Obama ha espresso il suo appoggio a una rinascita del nucleare, e si stanno studiando diverse alternative per il futuro: da centrali convenzionali, ma ridotte nelle dimensioni, a reattori "pebble bed", letteralmente "letto di ciottoli", nei quali il combustibile nucleare è inserito in minuscoli ciottoli di grafite pirolitica, con una riduzione del rischio di fusione del reattore.
Tuttavia, si tratta ancora di tecnologie basate sull'uranio, afflitte dagli stessi problemi che hanno complicato la vita dell'industria nucleare fin dagli anni '60. Solo il Torio, sostengono Sorensen (il gestore del blog) e la sua banda di rivoluzionari, può traghettare il mondo verso una nuova era di energia sicura, pulita, a basso costo.
Il Torio deve il suo nome a Thor, dio nordico del tuono. È un metallo lucido, bianco argenteo, solo leggermente radioattivo: se ne potrebbe tenere in tasca un pezzo senza danni. Nella tavola periodica degli elementi si trova nella fila in basso, insieme alle altre sostanze dense e radioattive - inclusi uranio e plutonio - note come attinoidi. Gli attinoidi sono densi perché i loro nuclei contengono un alto numero di neutroni e protoni, ed è lo strano comportamento di quei nuclei ad averne fatto oggetti delle meraviglie.
A intervalli di tempo che possono variare dal millisecondo alle centinaia di migliaia di anni, gli attinoidi rilasciano delle particelle e decadono in elementi più stabili. Se si comprime un numero sufficiente di atomi di determinati attinoidi, i nuclei erompono in un poderoso rilascio di energia. Gli attinoidi sono gli unici elementi che si spezzano in questo modo, e se le collisioni sono incontrollate si aprono i cancelli dell'inferno: un'esplosione nucleare. Se però si riescono a pilotare le condizioni nelle quali si verificano queste reazioni - sia controllando il numero di neutroni vaganti, sia regolando la temperatura, come si fa nel nocciolo di un reattore nucleare - si ottiene dell'energia utile.
Facendo passare dell'acqua accanto al materiale radioattivo, questa si trasforma in vapore acque in grado di far girare una turbina che produce elettricità.
Attualmente è l'Uranio l'attinoide scelto dall'industria: viene usato (talvolta con un pò di Plutonio) nel 100 per cento dei reattori commerciali del mondo. Ma l'Uranio è un combustibile problematico. Nella maggior parte dei reattori, per sostenere una reazione a catena ci vuole il rarissimo Uranio-235, che deve essere purificato, o arricchito, a partire dall'U-238, di gran lunga più comune.
I reattori si lasciano alle spalle, tra l'altro, il Plutonuio-239, a sua volta radioattivo (e usato per la produzione di ordigni nucleari). Con i reattori convenzionali a Uranio, se qualcosa va male, la campagna circostante fa un bel bagno di radioattività (pensiamo a Chernobyl). E anche se tutto fila liscio, restano le scorie tossiche.
Quando Alvin Weinberg viene messo a capo di Oak Ridge, nel 1955, capisce che con il Torio si possono risolvere molti problemi. Questo attinoide abbonda in natura - solo gli Stati Uniti ne hanno almeno 175mila tonnellate -, non richiede una lavorazione dispendiosa e, come combustibile nucleare, è straordinariamente efficiente. Mentre decade nel nocciolo di un reattore, i suoi sottoprodotti danno origine a un numero di neutroni maggiore, per ogni collisione, rispetto a un combustibile convenzionale. Maggiore è il numero di neutroni per collisione, maggiore è l'energia generata, minore è la quantità di combustibile usato nel complesso, e di spazzatura radioattiva che ti resta sul groppone.
Weinberg capisce anche di poter usare il Torio in un nuovo tipo di reattore che non presenta rischi di meltdown, la fusione del reattore. Il progetto si basa su una scoperta di laboratorio: il Torio si dissolve nei fluoruri liquidi caldi, una zuppa di fissione che può essere immessa dentro dei tubi nel nocciolo del reattore dove avviene la reazione nucleare a catena. Questo sistema fa sì che il reattore si autoregoli: quando la zuppa si scalda troppo, aumenta di volume e fuoriesce dai tubi - rallentando la fissione e scongiurando un altra Chernobyl. Per questo metodo qualunque attinoide va bene, ma il Torio è particolarmente adatto, essendo molto efficiente alle alte temperature in cui si verifica la fissione.
Nel 1965, Weinberg e la sua squadra costruiscono un reattore funzionante in cui i sottoprodotti del Torio sono sospesi in un bagno salino. Lo studioso dedica il resto dei suoi 18 anni a capo di Oak Ridge alla causa del Torio come cuore dell'energia atomica nazionale. Ma la missione è un fallimento. I reattori a Uranio ci sono già, e Hyman Rickover, che nei fatti dirige il programma nucleare americano, vuole il plutonio per costruire bombe, e il Plutonio si ricava dalle centrali nucleari a uranio. Weinberg è sempre più osteggiato, e nel 1973 è costretto ad andarsene.
Proprio quell'anno i paesi arabi tagliano i rifornimenti petroliferi al mondo occidentale, innescando una serie di conflitti che ancora oggi imperversano nel mondo. Sempre nel 1973 l'industria nucleare americana sottoscrive contratti per la costruzione di 41 centrali nucleari - una cifra record - a uranio e il progetto di ricerca sul Torio tramonta, e con esso la prospettiva realistica di un'età nucleare in cui l'energia elettrica sarebbe stata così economica da non meritare i contatori, con centrali nucleari pulite e sicure sparse nel verde della campagna.
Quando Sorensen e i suoi amici cominciano ad approfondire questa storia, scoprono non solo un combustibile alternativo, ma anche il design del reattore. Utilizzando quello schema la squadra di Energy from Thorium si mette a lavorare al progetto di un nuovo reattore con fluoruro di Torio liquido, o Lftr (si pronuncia "lifter"), che in base alle stime di Sorensen e altri sarebbe più efficiente all'incirca del 50 per cento rispetto agli attuali reattori ad acqua leggera che utilizzano l'uranio. Se tutte le centrali nucleari americane potessero essere convertite nel corso di una notte, e trasformate in sistemi Lftr, le riserve di torio esistenti potrebbero assicurare l'energia necessaria per circa un millennio.
Fuori dagli Usa il messaggio viene recepito. In Francia, dove il 75 per cento dell'energia elettrica è frutto del nucleare, il Laboratoire de Physique Subatomique et de Cosmologie ha costruito varianti del modello di reattori a sali fusi di Weinberg, per vedere se si riesce a farle lavorare in modo efficace. La più grande fonte mondiale di Torio, l'India, non ha ancora reattori commerciali che lo utilizzino ma ha annunciato piani per accrescere il suo potenziale di energia nucleare: ora nel paese il fabbisogno energetico è coperto solo al 9 per cento dal nucleare, ma il governo si aspetta che entro il 2050 si arrivi al 25 per cento e che il Torio ne generi una larga parte.
La Cina pianifica di costruire nel decennio a venire decine di reattori nucleari e ha ospitato lo scorso ottobre un'importante conferenza sul Torio. La repubblica popolare ha recentemente ordinato ai raffinatori di minerali di mettere da parte il Torio, in modo da poterlo utilizzare per la produzione di energia nucleare.
Negli Stati Uniti, il concetto di Lftr sta prendendo piede, anche se più lentamente. Sorensen e altri lo promuovono immancabilmente alle conferenze energetiche. Il celebre climatologo James Hansen ha specificamente citato il Torio come una fonte potenziale di combustibile in una "Lettera aperta a Obama", scritta dopo le elezioni. E anche le istituzioni si stanno dando da fare. Almeno tre progetti di legge legati al Torio girano per le stanze del Campidoglio di Washington. «Non mi risulta che ci sarebbe nulla di più benefico per il paese, dal punto di vista di un'energia sicura per l'ambiente, dell'energia nucleare fornita dal Torio», dice Orrin Hatch, senatore dello Utah che sta cercando fondi per i 250 milioni di dollari richiesti dal Thorium Energy Independence and Security Act.
Sfortunatamente 250 milioni di dollari non risolveranno il problema. Le stime, anche le più basse, per la costruzione di un solo reattore a sali fusi sono molto superiori a quella cifra. Saranno necessari investimenti ingenti per far diventare il Torio finanziariamente appetibile e far sì che i signori dell'energia nucleare si convincano a gettar via una base già esistente di reattori convenzionali.
«Quello che abbiamo ora funziona abbastanza bene», dice John Rowe, amministratore delegato di Exelon, compagnia che possiede il più cospicuo portfolio di reattori nucleari, «e funzionerà bene anche per quel futuro che siamo in grado di prevedere».
I critici fanno notare che il maggiore dei vantaggi del Torio - la sua grande efficienza - in realtà presenta anche dei rischi: la reazione continua molto a lungo, quindi il combustibile necessita di contenitori speciali assai durevoli e resistenti alla adesività dei sali. La combinazione tra alcune leghe resistenti alla corrosione e la grafite sembra soddisfare questi requisiti, ma il sistema deve ancora essere testato sulla distanza dei decenni.
I Lftr non devono affrontare solo problemi di costruzione, ma anche seri problemi di percezione. Per alcuni ingegneri nucleari nucleari, un Lftr è un pochino... disturbante. È un sistema caotico del tutto privo di quelle barre di controllo e di quelle torri di raffreddamento, monitorate accuratamente, su cui l'industria nucleare fonda le sue pretese di sicurezza.
Un reattore convenzionale, d'altra parte, è caratterizzato da una conceziozione ingegneristica rigorosa come quella di un jet da combattimento. Ma, soprattutto, gli americani hanno attenuato ma non ancora archiviato lo scetticismo verso tutto ciò che ha a che fare con il nucleare.
Così, se è improbabile che le aziende americane si convertano dando vita a una nuova generazione di reattori a Torio, una strategia praticabile sembra quella di usare il Torio negli impianti nucleari già esistenti, e si sta già lavorando in questa direzione grazie a una compagnia americana che opera in Russia.
L'arsenale nucleare sovietico è stato costruito in gran parte all'Istituto Kurchatov di Mosca. Alla fine degli anni '80, mentre l'economia sovietica stava andando a gambe per aria, gli scienziati del Kurchatov si trovarono costretti a lavorare con le muffole, per non gelarsi le mani nei laboratori non più riscaldati. Ma a metà degli anni '90 comparve sulla scena un salvatore: un'azienda della Virginia che si chiamava Thorium Power.
La Thorium Power - poi ribattezzata Lightbridge - è stata fondata dal fisico nucleare Alvin Radkowsky e sta cercando di commercializzare una tecnologia che rimpiazzerà l'uranio con il Torio, all'interno di reattori convenzionali. Dal 1950 al 1972, Radkowsky è stato a capo della squadra che progettava reattori per le navi e i sottomarini della Marina militare, e nel 1977 il colosso delle costruzioni elettronucleari Westinghouse ha aperto un reattore messo a punto da lui con un nocciolo di Uranio e Torio. Il reattore ha funzionato per cinque anni, fino al termine dell'esperimento. Radkowksy ha fondato la sua azienda nel 1992 con i fondi dell'Initiative for Proliferation Prevention Program, essenzialmente un tentativo americano di dissuadere i poco amichevoli ex scienziati bellici sovietici dall'unirsi ad altre squadre. Il reattore progettato dalla Lightbridge è noto come "seme-e-mantello". Il suo nocciolo consiste di un seme di barre di Uranio arricchito circondato da un mantello di barre di ossido di Torio mischiato con ossido di Uranio. Questo garantisce una reazione più sicura e durevole, rispetto alle barre di solo Uranio. Produce anche una quantità inferiore di scorie, oltretutto inutilizzabili per scopi militari.
L'amministratore delegato Seth Grae pensa che sia più conveniente convertire i reattori esistenti che costruirne di nuovi e, con una metafora automobilistica, spiega: «Non dobbiamo cambiare i motori o costruire delle nuove pompe di benzina».
Grae parla da Abu Dhabi, dove ha contratti per parecchi milioni di dollari, per consulenze sui piani energetici nucleari degli Emirati Arabi Uniti. Nell'agosto 2009, Lightbridge ha firmato un accordo con l'azienda francese Areva, il più grosso produttore di energia nucleare del mondo, per investigare la possibilità di combustibili nucleari alternativi. Lightbridge ha lottato per costruire un modello economico convincente. Ora, dice Grae, l'azienda ha abbastanza introiti per commercializzare il suo sistema seme-e-mantello. Ma occorre l'approvazione dell'autorità americana Us Nuclear Regulatory Commission, che potrebbe non essere facile da ottenere perché la struttura è stata sviluppata e testata nei reattori russi. Poi c'è la questione non banale di convincere le aziende americane. Il seme-e-mantello non solo deve funzionare, deve anche portare un vantaggio economico significativo.
Per Sorensen, mettere il Torio in un reattore convenzionale è come mettere del biocarburante nel serbatoio di un Suv. Ma riconosce che il modello della Lightbridge ha la potenzialità di instradare il paese verso un futuro nucleare più verde e più sicuro. «Il vero nemico è il carbone», dice. «Voglio combatterlo con i Lftr, che sono come mitragliatrici, invece che con i reattori ad acqua leggera, che sono come baionette».
l battaglione del Torio è sparuto, ma - come dimostra la fisica nucleare - piccole forze possono produrre grandi effetti.