La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

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Bernardo Gui
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La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da Bernardo Gui »

TRATTATO SU LA POGONOTOMIA, ovvero l’arte di radersi da sé stessi,
Seguito da osservazioni sulla necessità delle coramelle, e dalle conoscenze per acquistare buone coramelle e buone pietre.


Edizione originale francese:
presso l’Autore, Alphonse Bouchard,
in Parigi, rue Croix-des Champs, n° 2, 1819
Tipografia De Fain, rue Racine, n°4
Scaricabile gratuitamente all’indirizzo:
gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6547574q.r=Bouchard++Trait%C3%A9+sur+la+pogonotomie.langEN

Chi fosse interessato alla traduzione in versione PDF stampabile in formato A5, può richiederla all’indirizzo betavis.forte@gmail.com

INDICE DEI CAPITOLI

Cap. I Delle cause della sensibilità che si prova nel radersi. Dei dolori che prova una persona nel radersi con un rasoio in cattivo stato, e che non è adatto alla grandezza o alla finezza della sua barba, e dell’inutilità di epilarsi

Cap. II Delle maniere da adottare per radersi perfettamente

Cap. III Sulla maniera di passare il rasoio sulla pietra, dare al tagliente il conveniente grado di finezza o di grossolanità, ridare al tagliente affaticato la sua vivacità passandolo sul cuoio, e delle precauzioni da adottare per non rovinare il rasoio ne il cuoio

Cap. IV Delle conoscenze necessarie per acquistare delle buone pietre e riconoscere i difetti che caratterizzano quelle scadenti, e delle cure che vivono adottare per conservarle

Cap. V Dell’utilità delle coramelle, della loro conservazione, e dei mezzi per il loro mantenimento

Cap. VI Sulla forma più conveniente delle lame e dei manici, dell’affilatura a cura del coltellinaio e delle cure che si debbono avere dei rasoi
Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle.
(Joseph-Marie De Maistre)
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Nota del traduttore

Messaggio da Bernardo Gui »

Non essendo un traduttore di professione, e conscio anzi della mia inadeguatezza culturale, desidero dar conto al Lettore dei criteri adottati nel tradurre alcuni termini ricorrenti; criteri che, se non correttamente esplicitati, potrebbero dar luogo a confusione ed equivoci.
In francese si utilizza il termine affiler con riguardo all’affilatura su pietra, repasser invece con riguardo all’uso della coramella: ho spesso tradotto repasser con passare, per mantenere la distinzione presente nel testo originale, non ostante si tratti di traduzione non propriamente ortodossa.
Cuir à rasoirs significa testualmente coramella; nell’originale si trova in rari casi, ed allora nulla quaestio; ove invece si trovi solamente cuir, questo può stare per cuoio in senso generico oppure per cuir à rasoirs in forma abbreviata:ho tradotto a volte cuoio e a volte coramella, valutando, in funzione del contesto, se si riferisse al generico ovvero allo specifico; la mia interpretazione può tuttavia risultare erronea o quanto mano discutibile.
Confido nella tolleranza del Lettore, che spero vorrà perdonare gli errori e le espressioni desuete o mal comprensibili.
Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle.
(Joseph-Marie De Maistre)
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PREFAZIONE

Messaggio da Bernardo Gui »

L’arte di radersi da numerosi secoli è divenuta un’arte indispensabile; non vi sono bell’aspetto, ne ricche vesti che possano rendere l’uomo scusabile d’osare presentarsi in pubblico con una barba trascurata.
Durante i primi tempi nei quali si ammetteva l’uso di radersi, i soli chirurghi professavano quest’arte, ed in seguito i parrucchieri; ma i grandi avvenimenti che da 30 anni hanno agitato l’Europa, i frequenti movimenti di truppe, le relazioni commerciali, la difficoltà di avere un barbiere nei differenti luoghi ed alle ore necessarie, hanno costretto per così dire un gran numero di persone ad occuparsi di questa parte della propria igiene.
Qualche persona si rasa da sé addirittura per il disgusto che prova di essere toccata da mani estranee; ma per giungere alla perfezione dell’arte, quante difficoltà da superare! La poca abitudine a servirsi di un rasoio, la paura che uno strumento così tagliente ispira ad alcuni, la mancanza di conoscenza del grado di affilatura che si deve dare al filo, secondo la durezza o la finezza della barba; la maniera in cui bisogna cercare di radere i peli della barba in tutte le direzioni, e restituire al filo d’un rasoio affaticato o arrotondato la sua necessaria vivacità, sia sul cuoio sia sulla pietra, e riportarlo in condizioni di radere perfettamente: questi mezzi, poco comuni o trascurati, fanno si che un certo numero di persone siano mal rasate e provino dei dolori assai vivi che li respingono, e fanno loro a volte trascurare quest’operazione.
Nel corso di molti anni, da quando produco coramelle, molte persone si sono lamentate con me dei dolori e delle difficoltà che sperimentano nel radersi; avendo osservato con attenzione gli argomenti delle lamentele, mi sono avveduto che la mancanza di abitudine e di esperienza ad impugnare correttamente il rasoio e a dargli l’opportuna direzione, a ravvivare il filo sul cuoio o sulla pietra, erano le sole cause dei dolori e delle difficoltà che sperimentavano nel radersi: mi sono dunque deciso a comporre un trattato sulla Pogonotomia (ovvero l’arte di radersi), che divido in 6 capitoli.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 19:56, modificato 1 volta in totale.
Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle.
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TRATTATO SULLA POGONOTOMIA

Messaggio da Bernardo Gui »

Lascio alle persone accurate, e che sono attente alla barba, di giudicare se le mie osservazioni possano essere utili; esse mi sono parse necessarie a perfezionare una delle prime parti dell’igiene; è per questo ch’io oso permettermi di presentare al pubblico questa piccola opera.
Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle.
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CAPITOLO PRIMO (1)

Messaggio da Bernardo Gui »

Della natura della barba, delle differenti direzioni ch’essa assume nella propria crescita, e delle cause della sensibilità che si prova nel radersi.
La superficie del nostro corpo è disseminata di filamenti sporgenti, che assumono differenti nomi secondo le posizioni in cui crescono; come capelli, sopracciglia, baffi, barba e peli; la loro natura è comune; è nel tessuto cellulare (corpi grassi) (2), che tutti nascono; la radice, essendo continuamente inumidita da un umore cremoso, ne trae la sostanza necessaria per il loro accrescimento; l’anatomia ci dimostra che il genere nervoso è la sede della sensibilità.
Io non mi accingerò a dimostrare se questa o quella parte del corpo sia più o meno sensibile l’una rispetto all’altra; le sofferenze che si provano talvolta nel radersi, sono determinate dalla fitta che prova la quinta coppia di nervi i cui rami si estendono per tutto il viso; sarebbe inutile il tentare di farsi epilare.
Le persone che si sottoponevano a tale operazione dolorosa non ottenevano successo; i peli che si credeva di aver strappato non erano che spezzati, e ricrescevano nuovamente, essendo la radice nascosta nel tessuto della pelle, e formando alla sua estremità un piccolo uncino, la qual cosa impedisce di strappare interamente i peli.
Come ho appena osservato, sarebbe inutile d’intraprendere una simile operazione; l’uncino che resterebbe nel tessuto grasso ricrescerebbe nuovamente, e poco tempo dopo la barba tornerebbe alle condizioni originarie. Quindi, la sensibilità che si prova è causata dalla resistenza che l’uncino interno oppone all’estrazione totale del pelo; e quando un rasoio è scadente o male affilato, vi fa soffrire come se li strappasse l’uno dopo l’altro.
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(1) Mi offro di dimostrare la teoria di questo capitolo alle persone che non ne fossero sufficientemente edotte; e tre o quattro sessioni di un’ora possono bastare.
(2) Sugli uomini, o gli animali, dopo che si strappa un pelo, si vede nel punto in cui era contenuto nella pelle una piccola bianchezza sporgente, come di cera fusa.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 19:57, modificato 2 volte in totale.
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CAPITOLO II

Messaggio da Bernardo Gui »

Delle maniere da adottare per radersi perfettamente.
Per radersi perfettamente (1), è necessario avere due rasoi, l’uno il filo un poco più tagliente dell’altro (il filo più fine non serve che per ripassare la barba dopo che è stata rasata), che si ripasserà sul cuoio nella maniera ch’io indico nel terzo capitolo, e tenerli pronti prima di insaponarsi.
E’ molto utile il trarre profitto dalla schiuma del sapone, e non lasciarla seccare sul viso; non bisogna trascurare di insaponare molto la barba, l’esperienza dimostra che radendosi a secco il pelo è duro e difficile da tagliare; si provano delle fitte insopportabili: è dunque del tutto necessario l’insaponarsi con cura, sopra tutto per le barbe dure.
Per farlo con efficacia, bisogna servirsi di acqua tiepida per dilatare i pori del pelo, e che l’essenza oleosa del sapone penetri al suo interno, e lo predisponga ad essere tagliato con maggior facilità. Vi sono persone che si servono di molto sapone, e che si sfregano tanto che il sapone forma una specie di gomma grassa che si attacca dietro il rasoio al suo passaggio, cosa che lo intralcia, e non si può essere rasati senza provare qualche pena; è sufficiente massaggiarsi la barba con un pennello in tasso o in altro pelo impregnato di sapone e d’acqua tiepida; vi sono persone che preferiscono una saponetta e massaggiano colla mano; io credo questo metodo molto buono, sopra tutto per le barbe dure e lunghe, e se non ci si può procurare dell’acqua tiepida, il calore della mano destra vi supplisce (2).
Per impugnare correttamente il proprio rasoio, bisogna porre il pollice sotto la lama vicino al manico, premendo e cingendo la lama coll’indice un poco più in basso del pollice, il dito medio avanzato fino alla prima falange, cingendo con un poco di forza la lama e il manico alla giunzione di queste due parti e coprendo l’occhio (o chiodo) che le unisce, le altre due dita poste sotto il manico, l’anulare posto quasi sotto il medio, e che il manico porta obliquamente fra la prima e la seconda falange (o giuntura) e il dito chiuso a tre quarti, il mignolo scostato di due linee (3), l’estremità un poco sollevata meno chiuso che l’anulare; avanzate il dito in maniera che il manico posi sulla prima falange; queste due dita, così poste, servono a dirigere il manico. Questa maniera di tenere il rasoio è la più conveniente, non disturba i movimenti del polso, dona equilibrio al rasoio, che, trovandosi così tenuto, non può sfuggire.
E tenendolo così, si è meno soggetti a tagliarsi, e non si ha la paura che ha qualche persona di ferirsi servendosi di questo strumento. Affinché i movimenti del polso risultino liberi, e si abbia della leggerezza nelle mani, bisogna tenere il braccio in avanti, e alzato come sospeso all’altezza del perno, affinché tutti i colpi del rasoio partano dal movimento del polso; bisogna che le dita della mano sinistra tendano la pelle dalla parte che si vuole radere; bisogna porle il più vicino possibile al rasoio, poiché più il punto di tensione si allontana dal filo, più si rischia di tagliarsi, di radersi male, e soffrire ulteriormente.
Per tagliare con facilità tutti i differenti peli della barba, e per incontrare minor resistenza, bisogna utilizzare la lama del proprio rasoio in tutta la sua lunghezza, e cercare di tagliare obliquamente dall’alto in basso, terminando verso il mento e al di sotto del mento dal basso in alto, e allo stesso modo obliquamente per il lato destro, iniziando i passaggi dall’altezza del labbro inferiore, inclinando fino all’estremità della mascella e effettuando i passaggi del rasoio verso l’alto della lama.
L’uso giornaliero di coltelli, temperini, e altri strumenti taglienti, dimostra che si taglia meglio e con minor resistenza, quando si da loro una direzione obliqua, piuttosto che li si voglia far tagliare perpendicolarmente, e le persone che non danno questa direzione al tagliente dei propri rasoi, sono obbligate a forzare, affaticano molto più rapidamente il filo del rasoio.
Un rasoio mediocre in qualità, seguendo questa direzione, raderà tanto bene quanto uno buono che non seguirà questo metodo: non bisogna, nella speranza di essere ben rasato, farsi la barba in contro-pelo, poiché, se il rasoio taglia vivamente, si rischia di tagliarsi, e nel caso contrario, si provano delle fitte dolorose che a volte non si possono sopportare, si affatica l’epidermide, cosa che provoca un fuoco nella parte rasata; quando ci si è serviti del rasoio più grossolano, bisogna prendere quello il cui filo è più fine, ridare un colpo di saponetta, e ripassare tutte le parti che si sono già rasate; in questa seconda operazione è necessario qualche volta cambiare la direzione e cercare di radere diverse parti in contro-pelo.
I baffi sono in tutte le persone la parte più sensibile e la più difficile da tagliare a causa del naso e dei solchi vuoti che formano gli zigomi delle guance; per ovviare a questa difficoltà, bisogna spingere questa parte colla lingua, così come la fossetta del labbro superiore, e formare una sporgenza per radere queste parti.
Le persone che hanno dei nei si serviranno della punta della lama per radere tutto intorno. Per assicurarsi se si sia ben rasati, bisogna fare uso di uno specchio ingranditore (4); un cristallo che possiede questa qualità vi indica i peli più piccoli che siano sfuggiti al rasoio.
Impiegando con metodo tutti i mezzi indicati in questo capitolo, si giungerà in pochissimo tempo a radersi perfettamente.
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(1) E’ opportuno farlo prima di mangiare; vi sono persone la cui digestione è difficile, e che la freschezza dell’acqua potrebbe interrompere; per la qual cosa ci si deve sempre servire di acqua tiepida, poiché la minima corrente d’aria la raffredda sul viso, e può causare disturbo.
(2) Sarà vantaggioso per le persone che non hanno fatto uso del rasoio, il prendere l’abitudine di radersi indistintamente colle due mani; il vantaggio sarà grande, poiché ci si potrà radere i peli nelle loro differenti direzioni ed in tutti i sensi.
(3) Unità di misura utilizzata in Francia prima dell’adozione del sistema decimale, corrispondente a 2,2558291 mm. [N.d.T.]
(4) Le persone che non conoscano questo genere di specchi, ne troveranno presso l’autore.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 19:59, modificato 1 volta in totale.
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CAPITOLO III

Messaggio da Bernardo Gui »

Della maniera di ravvivare il tagliente dei rasoi sulla coramella, e di affilarli sulla pietra.
L’attrito continuo che subisce il rasoio (radendosi), piega il filo della lama; per riportarlo nel suo stato originario, bisogna passarlo sulla coramella nella maniera seguente: bisogna aprire il rasoio a mano libera, il pollice poggiato sulla punta del manico e della lama, l’indice sotto la lama, all’altezza del pollice; le altre tre dita piegate, e stringendo il manico nella mano; nell’altra mano tenere la coramella, agganciare l’estremità ad un sostegno solido, poggiare il rasoio ben piatto sul cuoio, e premere con poca forza, far scorrere la lama su tutta la lunghezza della coramella, tirando di sbieco dal codolo (si chiama codolo la parte che si inserisce nel manico) della lama fino alla punta, il dorso del rasoio all’esterno; alzare la lama riportare indietro il rasoio, e presentare al cuoio l’altro lato; risalire colla lama dalla punta al codolo, il dorso all’interno, e formare sulla coramella, collo sfregamento della lama, due linee diagonali incrociatesi.
Il numero di passaggi del rasoio sulla coramella non può essere fissato, essendo un rasoio più o meno affaticato per il numero di rasature, la natura del pelo che ha tagliato, o della sua bontà; ma, per un rasoio che sia di buona qualità, e che non abbia fatto che una rasatura, tra o quattro passaggi sono sufficienti sul primo lato, che è il più grossolano, e altrettanti sul secondo, che è molto fine. (Molte persone non hanno l’attenzione, ripassando i propri rasoi, di staccare la propria lama dal cuoio per rigirarla, e fanno un gran numero di passaggi sulla coramella, affinché tagli meglio; questi si ingannano, arrotondano il filo, e ne riducono l’efficienza.)
Quando si sono eseguiti questi tre o quattro passaggi, si deve provare se il rasoio sia idoneo e dotato della necessaria efficienza; per provarlo, si passa il filo sull’unghia del pollice, senza premere molto (se il rasoio è robusto, il suo peso è sufficiente, e l’unghia è abbastanza dura perché si possa fare questa prova senza timore di tagliarsi); se lo scorrimento intacca con regolarità, è una prova che stima il grado di perfezione, e due o tre passaggi sulla coramella, lato fine, lo rimettono in condizioni di ben tagliare. Come seconda prova, sfiorate il dorso della mano col filo (con molta leggerezza); se intacca con vivacità l’epidermide, deve radere bene; ma allorché passando il filo sull’unghia, si riscontra che è duro e irregolare, bisogna ripassarlo sulla coramella, lato grossolano, aumentare il numero dei passaggi, e ripetere le due prove nella maniera indicata qui sopra.
Per quanto buono sia un rasoio, l’attrito ch’esso subisce arrotonda il filo, e rende inutile la pena che ci si darà di ripassarlo sulla coramella: bisogna far ricorso alla pietra, mettervi sopra dell’olio d’oliva di prima qualità, e passare la lama del proprio rasoio ben piatta, farla scivolare da un’estremità all’altra della pietra, il filo in avanti, portandola dalla punta al codolo e dal codolo alla punta, scorrendo la lama su tutta la lunghezza della pietra, due o tre volte, e con un giro di polso rigirare la lama sul dorso per non rovinare il filo, e accostare l’altro lato della lama alla pietra, e fare in modo che l’olio sia sempre sparso nel mezzo.
La maniera di impugnare il rasoio è la stessa che per la coramella; non si può fissare il numero di passaggi che si possono eseguire sulla pietra per affilare un rasoio: essa può essere dura o tenera, e il rasoio più o meno affaticato; pertanto, quando si vuole affilare un rasoio, dopo aver eseguito una decina di passaggi se la pietra è tenera, e circa il doppio se è dura, ci si assicura dell’effetto della pietra cercando di tagliare leggermente la superficie della pelle al di sotto del pollice, o sul palmo della mano (non vi è alcun rischio di ferirsi, essendo la pelle molto spessa in questa parte.
Quasi tutti gli artigiani vi provano il filo dei propri utensili); se fa presa, si effettuano quattro o cinque passaggi sulla coramella; ma se il filo non è abbastanza vivo, bisogna riportarlo sulla pietra, ed eseguire cinque o sei passaggi sui due lati; non bisognerebbe passarvelo troppo, nel timore che si formi un piccolo filo morto sul tagliente, che lo renderebbe inadatto a tagliare: la qualità troppo tenera della pietra può provocare questo inconveniente, e per assicurarsene, si prova il rasoio sulla pelle della mano, e se il filo morto è notevole lo si sente scorrere rudemente; per eliminarlo, bisogna rifare sulla pietra qualche passaggio col rasoio; per assicurarsi che la pietra l’abbia eliminato, bisogna passare il filo in tutta la sua lunghezza sull’unghia del pollice; se raschia, bisogna ripassarlo due o tre volte sulla pietra per farlo interamente cadere; ripetete la prova, e se il filo, passandolo sull’unghia, ha uno scorrimento dolce, è la prova che non vi è più filo morto; poi lo si ripassa due o tre volte sul lato fine della coramella, ed è in condizioni di ben radere; ma se il filo morto è troppo lungo (cosa che avviene qualche volta quando il rasoio è di una qualità mediocre) tutte le regole che ho appena dato non sono sufficienti; bisogna passare la lama sulla pietra in modo che il dorso di trovi sollevato da due a tre linee, affinché soltanto il filo tocchi la pietra, e in questa posizione far scorre la lama dal codolo fino alla punta, il dorso all’interno, e percorrendo tutta la lunghezza della pietra; rigirare il rasoio, ed eseguire un passaggio sull’altro lato, il dorso sollevato, e risalire lungo la pietra colla lama: è l’attrito in senso contrario che fa cadere il filo morto; dopo si rimette la lama ben piatta sulla pietra per rendere il tagliente vivo, e cinque o sei passaggi lo riporteranno in condizioni di radere perfettamente.
Non bisogna sorprendersi del numero di persone che sono mal rasate, e soffrono durante questa operazione. I dettagli circostanziati nei quali mi sono appena addentrato provano che non si può ben affilare un rasoio senza una conoscenza dei modi di ottenerlo, e l’abitudine di farlo; non è tuttavia facile da apprendere; la buona volontà unita all’obiettivo, e la perseveranza, metteranno in poco tempo una persona in condizioni di ben affilare il proprio rasoio, e di gioire del valore della propria applicazione.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 20:01, modificato 1 volta in totale.
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CAPITOLO IV

Messaggio da Bernardo Gui »

Delle pietre da rasoio.
Vi sono numerosi tipi di pietre di cui si è cercato di fare uso per affilare i rasoi: come le pietre del Levante, che non sono adatte che ad affilare gli utensili; le pietre di Lorena, di Spagna, d’Inghilterra, tutte queste pietre hanno i pori troppo rinserrati, e rendono duro il taglio del rasoio.
Le pietre che s’è riconosciuto che hanno la proprietà di ben affilare, sono quelle che portano il nome di pietre da rasoio. «La sua caratteristica è uno scisto coticula. Questa pietra è formata da due strati sovrapposti, l’uno giallo e l’altro nerastro; la sua frattura, nel senso dei fogli, presenta una tessitura striata. Questo scisto proviene dai dintorni di Namur (1).
La presenza di questi strati, giallo e bruno, è una caratteristica così conosciuta nel commercio, che si aggiunge uno strato bruno alle piccole pietre che ne sono prive (2)». Ma sembra che questa pietra sia di due specie differenti, tanto la nera differisce in qualità.
Quando una pietra giunge ad essere utilizzata fino al nero, essa non è più utile a nulla, poiché si trovano nel nero delle particelle dure che resistono all’acciaio.
Ve ne sono di marmorizzate e macchiate di nero: è difficile di trovarne di buone in queste due qualità; ma quelle che sono di un giallo quasi bianco o venato di nero, e che sembrano prossime a rompersi, sono quasi tutte buone: esse sono rare e portano il nome di pietre della Venette.
Si deve fare una grande attenzione comprando una pietra da rasoio, poiché vi si riscontrano sovente dei piccoli granelli, ovvero grani bianchi e neri, molto duri, che producono delle scheggiature sul rasoio che vi si affila. Per riconoscere i difetti che ho appena esposto, bisogna passare sulla pietra una lama di coltello ben affilata e priva di filo morto, poggiando questa lama semi coricata sulla pietra, farla agire su tutta la lunghezza della superficie della pietra; si sentono i piccoli grani che vi possono essere, poiché la lama non scivola regolarmente, e s’impunta ove ve ne sono.
Se l’attrito si produce senza impuntarsi, con una grande regolarità, è una prova che la pietra è pura; ma questa prova non è sufficiente. Per essere sicuri di avere una buona pietra, bisogna verificare se essa sia troppo dura o troppo tenera (due difetti dannosi): bisogna grattare coll’unghia del pollice la superficie della pietra, premendo leggermente; se si riscontra l’unghia vivamente consumata, è una prova che la pietra è troppo tenera, se l’unghia scivola senza impuntarsi leggermente, è troppo dura; il difetto di essere troppo dura, quando è pura, è minore di quello di essere tropo tenera.
La pietra tenera ha i pori grossi e aperti, cosa che crea un filo troppo grosso: infatti un simile filo non può mai tagliare la barba senza procurare sofferenza, e la ragione è che il filo, essendo troppo grosso e ineguale, taglia con difficoltà.
La pietra dura sarà preferibile; il suo difetto è che richiede più tempo, all’incirca il doppio del tempo necessario con una pietra di prima qualità.
È assolutamente necessario di utilizzare olio d’oliva del più puro, qualsiasi altro olio secca e chiude i pori della pietra: bisogna avere grande cura di pulirlo dopo essersene serviti; bisogna occasionalmente sfregarla con un pezzo di pietra pomice ben piatto, e dell’acqua per sgrassarla. È in questi modi che si conserva una pietra in buone condizioni. In mancanza di olio, si potrà utilizzare dell’acqua, sopra tutto se la pietra è dura; l’acqua dilata i pori della pietra molto più che l’olio: perciò bisognerà passare il rasoio con leggerezza; senza questa precauzione si creerà un filo troppo grosso. Questi tipi di pietre possono essere utili per affilare ogni sorta di utensile a filo fine, come temperini, raschietti, scalpelli, etc.
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(1) E di Salm, origine di questo nome.
(2) È la caratteristica che le riconosce il Sig. Alexandre Brugenard, ingegnere minerario, membro dell’accademia reale delle scienze, nel suo Traité élémentaire de minéralogie, tomo I, pag. 558.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 20:03, modificato 1 volta in totale.
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CAPITOLO V

Messaggio da Bernardo Gui »

Dell’utilità delle coramelle.
Le coramelle sono di maggior utilità di quanto molte persone credano; molti vi fanno poco caso, e passano indifferentemente il proprio rasoio su un pezzo di pelle senza preparazione, o con una preparazione di nessun valore; si può esser certi che il rasoio sia male affilato.
Affinché una coramella sia buona, è necessario che la persona che la produce possieda qualche conoscenza del regno minerale per scegliere e preparare le parti adatte all’acciaio; è dalla cura che si mette nel preparare la mistura di cui si compone che dipende tutta la sua qualità. Una coramella che non è fatta con tutte le cure necessarie non è utile a nulla, e autorizza l’idea che molte persone hanno dell’inutilità delle coramelle; ma con un po’ di attenzione ci accingiamo a conoscere la loro utilità, e quanto il loro uso sia indispensabile.
È notorio che non vi è qualsivoglia attrito senza indebolimento e consumo delle parti; essendo l’operazione della pogonotomia un attrito del filo del rasoio sulla barba, il filo del rasoio si inclina e si arrotonda se il rasoio è buono, o si rovescia se il rasoio è di minor qualità; ma per quanto buono sia un rasoio, non ci si deve radere più volte senza passarlo sul cuoio per rendergli la sua vivacità, e raddrizzare il filo del rasoio che si piega sempre un po’.
Se i differenti grani che compongono il cuoio sono troppo grossi, ingrossano il filo del rasoio e gli donano un taglio duro; se sono troppo fini (difetto meno grave), addolciscono il filo del rasoio, e questo non taglia più se non forzando la mano.
Se i differenti grani sono ineguali, un tale cuoio è più dannoso che utile; non bisogna servirsene, ed ecco la ragione: il filo del rasoio, visto al microscopio, è una sega con piccoli denti molto regolari; un cuoio in cui i grani che lo compongono sono ineguali produce sul filo delle piccole tacche, ed invece di ridargli la sua vivacità lo rende inservibile.
Tutte le coramelle devono avere due lati, l’uno più fine dell’altro, come sono le mie. Molte persone desiderano che una coramella sia molto spessa e molto flessibile: questi tipi di coramelle arrotondano rapidamente il filo, poiché poggiandovi la lama si forma una cavità sul cuoio che indubitabilmente deve arrotondarla, e invece di raddrizzare il filo, lo piega sul lato opposto a quello su cui lo si passa.
Affinché una coramella sia buona, bisogna che i grani siano preparati con grande cura e di buona qualità, il cuoio un poco bombato, ne troppo duro ne troppo flessibile; per conservarla, bisogna aver cura di rimetterla nella sua custodia dopo essersene serviti, affinché sia al riparo da acqua, polvere, o corpi estranei; se qualche volta se ne attaccassero, bisognerà strofinarla per tutta la sua lunghezza col palmo della mano, che rimuoverà tutto ciò che vi possa essere attaccato sfregandolo numerose volte.
È utile, per assicurarsi che non vi sia più niente di dannoso, il passarvi sopra una lama di coltello; se la lama scivola con regolarità, potete passarvi il vostro rasoio; se al contrario si rilevano ancora alcune irregolarità, si ricomincia colla mano. È utile per conservarle il mettere tutti gli anni qualche goccia d’olio d’oliva molto fine che si stende sul cuoio colla punta del dito, ma non bisogna metterne troppo; conservarle in un luogo che non sia umido, poiché l’umidità vi forma sopra una specie di muffa che indurisce la pelle e le rende inutilizzabili.
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Nota. L’autore di quest’opera possiede una fabbrica di coramelle e pietre di tutte le forme e grandezze.
Ultima modifica di Bernardo Gui il 16/06/2015, 20:04, modificato 1 volta in totale.
Credere il meno possibile, senza essere eretico; per obbedire il meno possibile, senza essere ribelle.
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CAPITOLO VI

Messaggio da Bernardo Gui »

Della forma delle lame e dei manici.
Quando si compra un rasoio, si deve verificare che non sia troppo pesante o troppo leggero; un rasoio troppo leggero non ha abbastanza equilibrio nella mano, e se la persona che se ne serve ha la barba dura, è obbligata a forzare un po’ troppo e rischia di tagliarsi.
Un rasoio troppo pesante affatica la mano, che qualche volta l’abbandona al suo proprio peso e taglia la pelle, sopra tutto se la barba è fine. La forma più comoda è che abbia la punta arrotondata, così come il dorso; una lama di dieci linee nella sua massima larghezza non deve avere il dorso più spesso di due linee; le lame il cui dorso è più spesso, se bisogna affilarle sovente, diminuiscono di larghezza e molto poco di spessore; da ciò il filo è più manchevole e meno efficace al taglio, sopra tutto per una barba fine.
Bisognerebbe, quando gli si affida da affilare un rasoio il cui dorso è molto spesso, raccomandare al coltellinaio di incavare la lama, vale a dire, di ripassarla su una piccola mola che la scava; questi tipi di affilature sono più cari, richiedono molta attenzione, ma il prezzo che costano è compensato dal tempo che durano, anche se li si dovesse far affilare così tutti, e mai il farlo su una mola a secco; il calore dell’attrito della mola sulla lama da cui si vedono uscire scintille che sono particelle della lama, la stempra in differenti posizioni del filo. Se una lama troppo spessa ha i suoi difetti, una troppo sottile ha i suoi inconvenienti; se questa è troppo larga, il tagliente è troppo flessibile, e per poco che lo si prema sull’unghia, forma un’ondulazione; e se un simile tagliente non ha il filo perfetto, rade male e fa soffrire, poiché non tutti i peli della barba sono nella stessa direzione ne della stessa durezza; ve ne sono che differiscono di più del doppio in durezza e grossezza, e quando una lama troppo sottile di tagliente si trova ad incontrare un simile pelo, non ne prende che la metà e lo taglia in diagonale come un pennino.
Questi tipi di taglienti sono adatti alle barbe fini, per ripassare la barba già rasata. Molte persone considerano la bella lucidatura di un rasoio come una prova della sua bontà, non ne è una sicura garanzia; i rasoi inglesi, che sono quasi tutti molto ben lucidati, quando sono stati affilati una volta, perdono molta della loro qualità.
Eccone la ragione; hanno quasi tutti la lama molto robusta nel dorso, e i produttori che li realizzano sono obbligati a dare alle loro lame una tempra molto secca per ottenere una più bella brillantezza; lucidando un pezzo d’acciaio, questo viene riscaldato dall’attrito delle differenti mole in legno che bisogna impiegare per raggiungere questa lucidatura perfetta; il filo è riscaldato abbastanza da addolcire la tempra tanto quanto è necessario per farlo tagliare, e perché non si sgrani. Quando non taglia più, lo si porta ad affilare, la lama si restringe, il filo che era di buona tempra è eliminato, e il resto della lama è troppo duro, visto lo spessore del dorso; hanno anche l’inconveniente di essere pesanti, e quadrati in punta, cosa molto scomoda per radere i baffi e la fossetta del labbro superiore: pertanto, non è necessario, affinché un rasoio sia buono, che abbia una lucidatura viva.

Del manico.
Affinché un manico accolga bene la propria lama, bisogna che sia un poco rialzato dal centro, in modo che la lama, quando si chiude il rasoio, entri con facilità all’interno del manico; e per questo, quando si chiude un rasoio, bisogna prendere il manico all’estremità opposta alla lama, e coll’altra mano accompagnare la lama con attenzione.
Si eviterà che il tagliente tocchi sul bordo, cosa che avviene quando il manico non è abbastanza aperto. Bisogna aver cura di asciugare la lama e il manico prima di chiudere il rasoio, poiché la ruggine può formarsi sul tagliente. I migliori manici sono in balena, tartaruga o avorio; bisogna verificare che l’occhio, o chiodo, che unisce la lama al manico sia ben ribattuto e non troppo stretto; non bisogna che sia troppo lasco (questi due eccessi sono dannosi), perché può verificarsi che ci si tagli servendosi di un rasoio che ha uno di questi difetti.
Per rimediarvi, quando è troppo stretto, si introduce una goccia d’olio d’oliva fra la lama ed il manico, e lo si ruota nell’una e nell’altra direzione; se è troppo lasco, bisogna stringere il chiodo battendovi sopra dolcemente con un martello, dopo averlo poggiato su un pezzetto di ferro.
Tutte queste osservazioni sono utili; lette con attenzione e metodo, si perverrà in poco tempo a superare tutti gli ostacoli che hanno respinto molte persone dall’occuparsi di questa parte indispensabile dell’igiene, ch’io ho cercato di sbarazzare delle difficoltà senza numero che di un dovere facevano una pena.
Osservo che quest’opera è della più grande utilità, principalmente per le persone che non si sono servite del rasoio.

FINE
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robyares
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da robyares »

Bravissimo, magnifico, eccezionale!
Grandissimo (e immagino faticosissimo) lavoro!!
Non finirò mai di ringraziarti per aver condiviso con tutti noi quest'opera.
Grazie, grazie, grazie, mille grazie!!!
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Luca142857
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da Luca142857 »

Bravo e gentilissimo Gui! Grazie! :D

Da sviscerare sta cosa dei due rasoi diversamente affilati :geek:
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da paciccio »

Grazie Bernardo Gui.
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Bernardo Gui
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da Bernardo Gui »

robyares ha scritto:Grandissimo (e immagino faticosissimo) lavoro!!
Chi si accontenta gode :lol:
In realtà, il francese di due secoli fa è molto più simile alla lingua parlata oggi (eccezion fatta per il gergo di certe Banlieue) di quanto non lo sia l'italiano, che all'epoca risentiva della divisione polica dell'Italia e non si era ancora cristallizzato in una forma più o meno definitiva; il lavoro di traduzione risulta dunque assai spedito.

Luca,
non trovi che ricordi la logica di utilizzo di un DE regolabile?
Ultima modifica di Bernardo Gui il 17/06/2015, 0:49, modificato 1 volta in totale.
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Luca142857
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da Luca142857 »

Bernardo Gui ha scritto: Luca,
non trovi che ricordi la logica di utilizzo di un DE regolabile?
uhm... un DE regolabile aumenta semplicemente la possibilità di variare l'angolo d'incidenza della lama sulla pelle; qui invece -se ben capisco- si tratta di usare due lame dalla diversa affilatura, se mi passi il paragone è come utilizzare una Merkur per il pelo ed una Feather per il contropelo. Da meditare ...

Altra cosa notevole è l'uso morigeratissimo delle pietre e della coramella. Pochissimi passaggi. Ma forse dipendeva dal diverso tipo di materiali a disposizione.
“La rasatura è una severa maestra.” Heinlein142857.
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Bernardo Gui
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da Bernardo Gui »

Vero Luca, o due rasoi, ciascuno con una lametta.
Per le caratteristiche di pietre ed acciai, ti lascio a chi ne sa più di me (e ci vuole poco).
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Re: La Pogonotomie di Alphonse Bouchard [Tradotto]

Messaggio da elsuela »

Bellissimo e grazie per aver condiviso :-)
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